Senza sostenibilità ambientale non può darsi quella economica. Perché tacere?
LIVORNO. Probabilmente passerà alla storia come la crisi del 2008. Che c’è solo da sperare non sarà archiviata subito dopo quella del 2009. Le possibilità di superarla ci sono, sia ben chiaro, il genere umano supera sempre tutto. Anche le cose più atroci. Il punto sono le macerie che lasci alle spalle. Che oggi più di ieri non sono solo le vittime sul campo (sotto forma anche di profonde disuguaglianze sociali che si accentuano sempre più), ma la dissipazione delle risorse del pianeta causata dal malgoverno dei flussi di materia e di energia. La crisi vera, dal nostro punto di vista, che contiene e che quindi sta sopra la crisi attuale, e di cui però nessuno parla oppure non si accorge. Per dirla con parole semplici, l’economia di carta che si mangia quella reale – concetto già pure questo datato ma pur sempre d’attualità – non ha creato asimmetrie buone soprattutto per i trader, ma un deficit di sostenibilità ambientale di cui le borse del mondo, come le agende dei governi – nonostante Stern e l’Ipcc – proprio non vogliono farsi carico.
Il dibattito, lo registriamo da tempo, è incentrato soltanto sui perché della crisi; sui numeri della crisi; su quello che un’ideologia (statalismo) piuttosto che un’altra (liberismo) indicano come strade da seguire per affrontare questa e le future crisi. Di fronte all’economia Usa massacrata dai colpi dei mutui subprime che hanno generato uno tsunami che sta facendo annegare colossi finanziari e banche e chissà cos’altro, gli analisti di chiara fama difendono lo status quo affermando cose tipo (Corriere della Sera): «Il capitalismo e il mercato rimangono il ‘modo’ migliore per produrre (e consumare) ricchezza. Tutti gli altri sono falliti». Come se oggi ci fosse qualcuno – tranne i disgraziati naturalmente - che vive fuori dal mercato.
Ma del capitale naturale eroso e messo in crisi da questo sistema economico che per tutta una serie di ragioni ha, anche lui sì, certamente fallito, se non è materia di cui gli economisti vogliono occuparsi, deve esserlo per gli ambientalisti, almeno per quelli che ritengono l’economia ecologica la necessaria e stretta via attraverso la quale riorientare il nostro sistema economico (mercato compreso) verso la sostenibilità sociale e ambientale.
Se la crisi è la febbre, ma non la malattia – concetto sul quale siamo tutti più o meno d’accordo – la lezioncina di Tremonti contro il ‘mercatismo’ e il suo dito alzato da un pulpito assai traballante contro gli economisti dicendo “Tacete”, serve per i titoli dei giornali, ma non sposta nulla (visto anche che tutto il governo di cui lui fa parte la pensa diversamente). Anzi, scompiglia solo le carte, che invece devono essere riprese in mano e giocate scoperte. Questo è il nostro invito: se si ritiene che questa crisi, insieme alle ricette in campo per superarla, mettano per primo a rischio le risorse del pianeta, il tempo per dirlo è questo e non, illusoriamente, quello della "nottata passata".
L’analisi di quello che sta accadendo è fondamentale e gli ambientalisti (noi compresi) devono (dobbiamo) impegnarsi prima per farla e poi per non sbagliarla. Non bisogna ‘tacere’ – come forse sta accadendo causa un pessimismo di fondo che sta un po’ a tutti tarpando le ali - ma intervenire con idee che puntino a superare la crisi a partire dal rovesciamento concettuale di ciò che l´ha creata: l´economia è un sottosistema dell´ambiente, non il contrario! Senza sostenibilità ambientale non può darsi sostenibilità economica. Quali che siano le regole del "traffico dei mercati", se questo "traffico" non è orientato verso la sostenibilità si potranno anche evitare ingorghi ma non si eviterà il baratro. Questo, secondo noi, è il nocciolo della questione. E su questo nocciolo vorremmo sollecitare contributi.
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