Jeremy Rifkin: «La prossima rivoluzione sarà quella ambientale»
«Non è l'austerità a essere sbagliata. E' la mancanza di un piano di sviluppo che crea i problemi».
Italia ha tagliato drasticamente i suoi bilanci obbedendo alle disposizioni della finanza internazionale. E adesso che succede? Si sente dire che non è credibile perché non ha i fondi per sostenere la crescita. Ma questo è il comma 22, una via cieca. Non si può pensare di continuare a cancellare posti di lavoro e futuro senza che si moltiplichino moti di rivolta come quelli che stanno prendendo piede in Italia e in Grecia. La Germania ha dimostrato che uno sviluppo diverso è possibile. Perché non seguite quella strada?». Jeremy Rifkin, il presidente della Foundation on Economic Trends, è venuto a Roma per presentare il suo ultimo libro, La terza rivoluzione industriale, edito da Mondadori. L´appuntamento doveva essere un momento di confronto accademico, è diventato parte di un´attualità drammatica.
L´austerità dei bilanci è sbagliata?
«Non è l´austerità ad essere sbagliata, è la mancanza di un piano di sviluppo che crea i problemi. Per uscire dalla crisi ci vuole una visione del futuro. Bisogna comprendere il nesso fra le tre crisi che abbiamo di fronte, quella finanziaria, quella energetica e quella ambientale. Il carbone e il petrolio, che hanno animato la prima e la seconda rivoluzione industriale, sono in fase di esaurimento, un ciclo di crescita che si pensava come inesauribile è finito. E nel frattempo emergono i danni ambientali prodotti dall´uso dei combustibili fossili perché il carbonio, accumulato sotto terra in milioni di anni e rilasciato all´improvviso in atmosfera, sta modificando il clima».
Insomma abbiamo tre crisi invece di una.
«Ma la somma delle tre crisi offre una possibile soluzione. A patto di sostituire la speranza alla paura, di abbandonare la logica dei divieti e di guardare all´obiettivo da raggiungere: far decollare le aziende impegnate nell´edilizia sostenibile, nelle fonti rinnovabili, nelle telecomunicazioni, nella chimica verde, nella logistica a emissioni zero, nell´agricoltura biologica. La difesa dell´ambiente è un formidabile motore di sviluppo e di occupazione, non un peso: in Italia può dare centinaia di migliaia di posti di lavoro».
Eppure in molti, dovendo tagliare le spese, fanno cadere la scure proprio sugli investimenti ambientali: il governo italiano era arrivato a ridurli del 90 per cento.
«Vuol dire tagliare via il futuro, restare impantanati. Bisogna fare il contrario: traghettare l´economia dalla parte del nuovo perché siamo nel mezzo di un passaggio epocale, il salto dalla seconda alla terza rivoluzione industriale. Il nuovo modello si basa su cinque pilastri: le fonti rinnovabili; la trasformazione delle case in centri di produzione di energia grazie alle micro centrali domestiche; l´idrogeno per immagazzinare l´energia fornita dal sole e dal vento durante i momenti di picco; la creazione delle smart grid, che sono l´Internet dell´energia; le auto con la spina. È una rivoluzione che si completerà entro la metà del secolo».
Tempi lunghi, non scoraggiano gli investimenti immediati?
«No, perché il processo è già iniziato e sia i pericoli da evitare che i vantaggi da ottenere sono presenti qui e ora. Dagli anni Settanta a oggi il numero degli uragani più gravi è raddoppiato. E nell´agosto del 2008, per la prima volta da 125 mila anni, si poteva navigare attorno al Polo Nord perché i ghiacci si erano fusi».
E i vantaggi?
«Faccio un paio di esempi. Rendere più efficienti le case negli Stati Uniti costerebbe 100 miliardi di dollari l´anno ma permetterebbe di risparmiare energia per 163 miliardi di dollari l´anno. E la mobilità, nell´era in cui l´attenzione si sposta dalla proprietà all´accesso alle reti, offre analoghe opportunità. Zipcar, la più importante società di car sharing, in un decennio di attività ha aperto migliaia di sedi per mettere le auto condivise a disposizione dei suoi clienti: cresce del 30 per cento l'anno e nel 2009 ha fatturato 130 milioni di dollari».
Non c´è il rischio che questa prospettiva affascini i paesi più industrializzati, mentre gli altri continuano a produrre e inquinare sulla vecchia strada?
«La cronaca ci racconta una storia diversa: in Cina si moltiplicano le battaglie per conquistare uno spazio libero all´interno delle reti globali, in Nord Africa abbiamo visto che dittature brutali sono state rovesciate attraverso il tam tam dei social media. Il potere laterale, cioè il diritto all´accesso alle reti dell´informazione e dell´energia è la nuova frontiera capace di mobilitare la generazione di Internet. Oggi lo scontro non è tra destra e sinistra ma tra un modello accentrato, autoritario e inefficiente e un modello basato sul decentramento, sulla trasparenza e sulla libertà di accesso alle reti».
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