[Intervista a Boaventura de Sousa Santos di Osvaldo León] Nel mezzo della crisi finanziaria, “che in qualche modo sta occultando tutte le altre crisi” (economica, energetica, ambientale, storica, alimentare, etc.) non c'è un ampio margine di manovra per procedere con la formulazione di alternative nel quadro di Río 20, la Conferenza delle Nazioni Unite sullo Sviluppo Sostenibile, sostiene il sociologo Boaventura de Sousa Santos, Direttore del Centro di Studi Sociali, Facoltà di Economia, dell'Università di Coimbra, Portogallo, con cui abbiamo intavolato il dialogo che segue.
Con la crisi di mezzo, nelle istanze ufficiali si parla sempre di più di “economia verde” come della nuova ancora di salvezza. Qual è la sua opinione?
L'economia verde sarà il tema dominante a Río 20, è la coscienza massima del capitalismo. Il capitalismo deve trovare un modo di comprendere la crisi ecologica, la crisi ambientale, la crisi energetica, la crisi alimentare, ma la vede sempre dal punto di vista del guadagno perchè il capitalismo è amorale, non ha alcun concetto di dignità umana, e ancor meno il concetto di Pachamama. Quindi guarda sempre ai problemi per trovare forme possibili di accumulazione, di redditività. Economia verde o capitalismo verde è trasformare la crisi ecologica e ambientale in una risorsa per l'accumulazione, creando, oltre ai mercati dell'anidride carbonica, tutti i servizi ambientali, che sono un nuovo ambito di industrializzazione, e cercare di farlo in modo che appaia sostenibile. L'economia verde è la conseguenza naturale delle teorie dello sviluppo sostenibile.
Senza dubbio noi siamo arrivati alla conclusione, da molto tempo, che lo sviluppo come viene inteso non è sostenibile, e la sostenibilità esige non uno sviluppo alternativo ma un'alternativa allo sviluppo, altre prospettive. Queste alternative passano attraverso altre concezioni che non sono le concezioni capitalistiche. C'è solo un'alternativa allo sviluppo in un orizzone postcapitalista dove i valori d'uso, per esempio, tornino ad avere una qualche priorità sui valori di scambio. Questo non accade con l'economia verde. Al contrario, i documenti che sono in preparazione alle Nazioni Unite per questa riunione a Río, sono fondamentalmente quello che io chiamo il massimo di coscienza possibile, non possono andare più in là di così, soprattutto perchè capita nel contesto di una crisi finanziaria che in qualche maniera sta occultando tutte le altre crisi.
Due anni fa, a Copenhagen e poi a Cancún, stavamo parlando delle varie dimensioni della crisi finanziaria, economica, energetica, ambientale, storica, alimentare etc. però all'improvviso tutte queste crisi sono sparite e si parla solo della crisi finanziaria. La crisi finanziaria, dicono, si risolve con la crescita e l'impiego. Si tratta ancora una volta della coscienza massima: l'impiego e la crescita. Ma allo stesso tempo le Nazioni Unite ci dicono che se continuiamo con questo modello di crescita e sviluppo, nel 2015 il riscaldamento globale sarà irreversibile e ci saranno cambiamenti ambientali già visibili nel mondo. Quindi che fare in questa situazione? In questo contesto mi sembra davvero che non ci sia una soluzione. Penso che il neoliberismo, ora, nella sua forte dimensione finanziaria, attraverso questa crisi finanziaria totalmente causata dalla speculazione finanziaria mondiale, prodotta della mancata regolazione dei mercati finanziari, abbia cercato di distruggere tutte le forze di resistenza al capitalismo o le abbia obbligate a retrocedere. Lo vediamo in molti modi, per esempio nei movimenti sociali che sono stati molto forti nel primo decennio, come il movimento ambientalista, e ora se ne stanno zitti.
Si tratterebbe più di un fenomeno di disciplinamento intorno alla gestione della crisi, che della ricerca di nuovi paradigmi?
Io penso che non sia ricerca di nuovi paradigmi, fondamentalmente si sta disciplinando, si stanno limitando le possibilità dei movimenti. Questo tocca due dimensioni, da un lato c'è un disciplinamento dei popoli e dei movimenti, e dall'altro, c'è disciplinamento degli Stati che cercano nuovi paradigmi. Nella nuova fase del neoliberismo gli Stati sono al servizio del capitale, però devono esserlo ancora più di quanto non lo fossero prima. Abbiamo sempre concepito lo Stato come un campo di battaglia, lo Stato, senza smettere di essere uno Stato capitalista, è oggi uno Stato molto contraddittorio perchè ha al suo interno le contraddizioni delle lotte sociali da più di un secolo, ovvero le lotte operaie, le lotte contadine, le lotte indigene, le lotte delle donne che ottennero dallo Stato i diritti sociali, economici, culturali. Lo Stato è oggi più contraddittorio di quanto non lo fosse al principio del XX secolo. Quello che accade è che il capitalismo vuole che lo Stato smetta di essere una contraddizione e si metta al completo servizio del capitale finanziario. È per questo che ora i mercati dicono che bisogna cambiare la Costituzione in Spagna, per far sì che il massimo del deficit preventivabile sia determinato e definito dalla Costituzione. Non è una richiesta della società, non è una richiesta delle forze né di destra né di sinistra, è una richiesta dei mercati finanziari di cui dicevamo. Stiamo parlando di un'entità che non esiste eppure è onnipresente, è un po' come Dio, le borse sono ovunque nel mondo, sempre attive, e quando ti svegli c'è una crisi nel tuo paese che non deriva da una crisi economica, che non deriva da una crisi di scioperi, che non deriva da un disastro climatico, deriva dai mercati finanziari che durante la notte hanno deciso di attaccare la tua economia, speculare sul tuo debito. Sembrava che i piccoli paesi come la Grecia, il Portogallo e l'Irlanda fossero i più vulnerabili alla speculazione, ma ora è è pienamente attiva in Spagna e Italia, e domani arriverà in Francia dove è già iniziata e poi in Germania. Ci sarà un momento in cui i capitali finanziari dovranno essere regolati, perchè sono stati loro a produrre la crisi, a partire dal subprime, sono stati loro a produrlo, e il loro potere è tale in questo momento che sono loro a “risolvere” la crisi, e ovviamente non la risolvono.
Ci sono cose che noi non immaginiamo fossero possibili al principio del XXI secolo, come il socialismo dei ricchi. Dopo molti decenni i ricchi ci vengono a dire per favore, vogliamo pagare più tasse, vogliamo contribuire a risolvere la crisi. Questo è drammatico, nel senso che da un lato dimostra il fallimento totale delle forze politiche del centro-sinistra, della socialdemocrazia europea e mondiale , e dall'altro mostra una volta ancora che la filantropia capitalista è puro egoismo. Questi super ricchi non vogliono pagare le tasse per aiutare il paese, hanno paura che la crisi sia così profonda da mettere in pericolo la loro ricchezza, dunque meglio pagare un poco più di imposte, piuttosto che perdere molto di più con una crisi profonda.
Considerato tutto questo, qual è il margine di manovra per avanzare con la formulazione di alternative nel quadro di Río 20, tanto negli spazi riservati alla società civile quando in quelli ufficiali?
Il margine di manovra non è molto ampio, si è ridotto con la crisi finanziaria. Penso che la crisi finanziaria venga creata per ridurre questo margine di manovra che è l'altro aspetto della stessa cosa di cui parlavamo prima, disciplinamento dei popoli e degli Stati. Io penso comunque che ciò che è nuovo ora e non si può perdere è che ci sono energie nuove, che appaiono tanto a livello economico quanto ecologico. Oggi ci sono concetti, idee che non avevamo da 10 anni e che non si possono sprecare, come il concetto di Buon Vivere, il concetto del Sumak Kawsay, il concetto della Pachamama, dei diritti della natura, anche la legalizzazione delle terre comunali originarie, soprattutto in Bolivia, alcune in Brasile e altri paesi. L'idea che la proprietà non sia solamente proprietà statale o individuale capitalista ma possa avere anche altre forme è una grande novità che sta nelle Costituzioni di Bolivia ed Ecuador, ossia la proprietà comunale, proprietà privata, proprietà associativa, proprietà cooperativa, e tutte queste forme di proprietà vanno protette nella pratica. In Bolivia c'è l'idea che esistano tre forme di democrazia, quella rappresentativa, quella partecipativa e quella comunitaria, che hanno logiche peculiari e si devono coordinare. Abbiamo nuovi strumenti per la lotta ideologica.
Vediamo che si possono realizzare grandi alleanze tra quello che sembra ancestrale-moderno e quello che è moderno-moderno, diciamo così. Tutti i problemi che abbiamo di movimenti ambientalisti, di ecologia politica, di Buon Vivere. Non è uguale a decrescita come sostengono alcuni in Europa, è un'altra cosa, è la generazione di ricchezza senza distruggere ricchezza, è un concetto differente. Siamo nella condizione di avere strumenti che ci possono aiutare a trovare una strada. Abbiamo alcuni strumenti ideologici, politici, idee, concetti, ora questo non è sufficiente perchè ci vogliono soggetti storici sociali, a livello di società movimenti sociali e anche strutture politiche e nuove forme di pianificazione e gestione pubblica. Qui risiede la difficoltà, in questo momento.
Questi concetti, nell'adempimento di politiche, meccanismi economici, risultano ancora inadeguati?
Molto inadeguati, ma quello che spaventa è la vertigine. Dopo due o tre secoli, almeno, dall'idea che lo sviluppo sia infinito e che la natura sia una risorsa assolutamente inestinguibile, tu non puoi cambiare tutto in un decennio. È molto importante, per esempio in Ecuador, che si prenda sul serio l'idea degli indicatori del Buon Vivere, ed è un dibattito a cui sto partecipando. Un parametro realistico che possiamo analizare, magari quantificare, è una novità. In realtà non è molto, è piuttosto astratto, per esempio è difficile trovare in questo momento il quadro amministrativo di uno stato plurinazionale. Si richiede un'altra logica. Prendiamo un esempio, la creazione di un tribunale costituzionale plurinazionale. Questo obbliga a portare alla corte costituzionale giudici della conoscenza indigena, della giustizia propria degli indigeni. Questo è un cambiamento brutale per chi pensa al giudice come qualcuno che è stato formato alla facoltà di diritto con il diritto positivista eurocentrico.
Di fatto, storicamente, il problema delle transizioni è che non abbiamo pazienza perchè la nostra vita è breve, la società ha una vita più lunga. Quello che mi preoccupa in questo momento è che abbiamo gli strumenti teorici concettuali, con le loro difficoltà, ma ci mancano le forze sociali.
Si sta compiendo un grande sforzo in questo continente per debilitare le forze sociali di sinistra, progressiste. Per me, non è teoria della cospirazione, quello che sta cambiando in questo decennio è che gli Stati Uniti sono tornati al continente, sono tornati nel loro backyard. Si erano dimenticati dell'America Latina nel primo decennio perchè si trovavano in Medio Oriente, ma ora sono tornati al continente. Un ritorno che inoltre sembrava essere un ritorno tradizionale; cioè in Honduras ovviamente appoggiò il golpe, poi le sette basi della Colombia. Tuttavia ci sono cose nuove (e non troppo nuove): si chiama sviluppo locale. Sono progetti a livello delle comunità che finanziano tutto. Nel villaggio più remoto di questi paesi c'è un progetto di USAID. Questi progetti non sono ingenui, sono progetti che dispongono di denaro per un certo tipo di cose, per esempio il lavoro con leader indigeni, che, allenati in questo contesto vanno contro i governi progressisti perchè non sono governi di fiducia. Lo stesso accade quando le sinistre si affrontano in questi paesi e dicono che l'altra parte della sinistra è destra o fa il gioco della destra. Ma la destra non confida mai in questi gruppi, la destra vuole solo ciò che è suo. Per questo quando è arrivato al potere Lula, il quale ha fatto tutto ciò che era possibile fare per favorire il capitalismo brasiliano, non è mai stato un uomo di fiducia della borghesia brasiliana o della borghesia transnazionale.
Traduzione di Camilla Martini