Greenpeace ha identificato le centrali nucleari a rischio in Europa. Sono 437 quelli possono far scattare l’allarme. Cliccando sui reattori è possibile capire il livello di esposizione nel territorio circostante
Sono 437 puntini gialli. Attorno a ognuno di questi puntini può scattare, in caso di incidente grave, l’ordine di evacuazione. E il pericolo è direttamente proporzionale alla vicinanza dell’impianto. E’ la mappa delle centrali nucleari fornita da Greenpeace a un anno dal disastro di Fukushima
Una mappa che ognuno può utilizzare per misurare il rischio generale e anche quello che riguarda la propria cerchia di conoscenti. Grazie al sistema di georeferenziazione è possibile infatti visualizzare la posizione dei propri amici su Facebook in rapporto ai reattori, per vedere a colpo d’occhio qual è il livello di esposizione. Per restare ai numeri generali, dalla mappa si ricava la presenza di centinaia di milioni di persone in una zona che, in caso di catastrofe nucleare, potrebbe dover essere abbandonata.
Proviamo a vedere cosa succede in alcune delle centrali più vicine all’Italia. Ad esempio Tricastin, dove nel 2008 un incidente con la fuoriuscita di 30 mila litri di acqua radioattiva che si è riversata nei fiumi vicini ha dato luogo a una battaglia legale per cambiare la denominazione al vino doc della zona, invendibile finché associato a un luogo che era stato contaminato. In questo sito 310 mila persone vivono a una distanza di 30 chilometri dall’impianto, quella che a Fukushima è stata evacuata. E 1,7 milioni in un’area di 75 km, cioè a una distanza che con una combinazione sfavorevole di venti può dover essere sgombrata in caso di disastro nucleare.
Passando alla Svizzera troviamo la centrale di Mueheberg, che con i suoi 40 anni di vita è piuttosto anziana. Qui ci sono 890 mila persone nel raggio di 30 chilometri e 3,4 milioni entro i 75 chilometri. In Cina, a Guandangog, si arriva a 3,2 milioni nel raggio di 30 chilometri e a 27,8 milioni entro i 75 chilometri.
Numeri che fanno riflettere perché la dinamica degli incidenti di Chernobyl e di Fukushima ha dimostrato che, anche se la contaminazione nucleare può arrivare a migliaia di chilometri dal luogo del disastro, l’area in cui la concentrazione dei radionuclidi produce il massimo dei danni è quella più vicina al reattore danneggiato. Non a caso alcuni contenziosi internazionali nascono proprio per centrali nucleari costruite al confine tra due Paesi.