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[Data: 07/03/2012] [Categorie: Economia; ] [Fonte: Vita.it] |
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Anche i liberal lo dicono: la Tav non sta in piedi Sul Blog dell'Istituto Leoni, diretto da Oscar Giannino, è apparso un'interssante analisi sulla Tav della Val di Susa. Lo firma Ugo Arrigo, docente di Scienza delle Finanze all'Università Bicocca. Non è certamente un personaggio schierato culturalmente su posizioni No Tav, ma di cultura liberal. Le sue obiezioni alla linea ferroviaria confermano tutto lo scetticismo su un progetto che bisgnerebbe davvero avere il coraggio di ridiscutere. Riportiamo alcuni passaggi del post di Ugo Arrigo ...Di fronte a progetti come questo non dovrebbe essere difficile conseguire il consenso di gran parte dell’opinione pubblica nazionale: basta dimostrare che il gioco vale la candela, nel caso specifico che i treni futuri valgono la costruzione dei nuovi binari e che in conseguenza i nuovi binari varranno di più dei soldi necessari a costruirli. Se si prova e si riesce a farlo, convincendo la collettività dei taxpayers, diventa molto più facile convincere anche le collettività locali i cui territori dovranno ospitare le nuove opere e sostenerne le esternalità negative ambientali senza spesso trarne vantaggi. Bisognerebbe quindi produrre dapprima solide stime sui vantaggi economici (da economista liberale preferisco in realtà chiamarli ricavi) e sui costi di ogni progetto, avendo l’avvertenza di farli produrre o almeno valutare da organismi indipendenti, che non traggano vantaggio dalla realizzazione dei medesimi. (...) Veniamo al caso specifico della TAV: i valsusini ci perdono solamente dato che l’opera verrà fatta sul loro territorio ma non lo servirà, favorendo (forse) il trasporto passeggeri e merci ma solo su distanze molto più lunghe; i diversi livelli di governo del Piemonte (città e provincia di Torino, regione) ci guadagnano solamente dato che la nuova opera accresce la loro dotazione infrastrutturale senza che essi debbano spendere un soldo; le imprese costruttrici e le banche finanziatrici ci guadagneranno con certezza, non sostenendo alcun rischio (interamente a carico dello stato come committente dell’opera e garante dei finanziamenti); lo stesso si verifica per FS, braccio operativo dello stato per la realizzazione dell’opera: se i costi sforeranno lo stato trasferirà le risorse aggiuntive necessarie mentre se la nuova linea non avrà traffico il bilancio di FS non ne risentirà; il contribuente italiano perde invece con certezza dato che contribuirà agli oneri senza usare l’opera (tranne forse i pochissimi connazionali che usano il TGV anziché l’aereo per andare a Parigi). Impossibile che da schemi di ripartizione vantaggi-svantaggi di questo tipo vengano fuori opere pubbliche dotate di senso economico. Le riflessioni precedenti sembrano dar ragione alla posizione tenuta da Margaret Thatcher in relazione al progetto del tunnel sotto la Manica, quando resistette alla pressioni di François Mitterrand per finanziare l’opera con soldi dei contribuenti di ambo gli stati. Diede il via libera, si, ma senza un penny di soldi pubblici (‘not a public penny’), preservando in tal modo i suoi contribuenti da un pessimo affare (al contrario degli 800 mila piccoli azionisti privati, soprattutto francesi, che sottoscrissero le azioni e si ritrovarono dopo pochi anni con quasi nulla): Da questa posizione storica si può ricavare una sorta di ‘teorema Thatcher’ sulle grandi opere: Una grande opera dovrebbe essere sostenuta da una grande domanda dei suoi potenziali utilizzatori. Una grande opera senza grande domanda è un grande spreco e nessun privato sarà mai disponibile ad assumerne gli oneri di realizzazione e sfruttamento economico. Una grande opera con grande domanda è ripagabile con i futuri proventi da pedaggi e può quindi essere realizzata e gestita in project financing da operatori privati in concessione, senza necessità di assunzioni di rischi ed oneri in capo al settore pubblico. Questi sono gli insegnamenti principali della posizione della Thatcher in relazione al Channel Tunnel che non solo non sono stati colti ma neppure meditati nell’esperienza italiana delle grandi opere. E’ evidente che la Tav Torino-Lione non supera il Thatcher test e che nessun privato si accollerebbe mai il rischio di costruzione ed esercizio dell’infrastruttura senza garanzie e contributi pubblici rilevanti. Appurato questo bisogna tuttavia considerare che i contribuenti italiani non sono (purtroppo) se non in quantità molto ridotta thatcheriani convinti e possono quindi essere persuasi a contribuire a una grande opera. Bisogna tuttavia che essa sia giustificata dai numeri, non dalle opinioni, e i numeri debbono essere oggettivi, neutrali e certificati e non opinioni travestite. Sinora, tuttavia, numeri oggettivi, certificati e non di parte non se ne sono visti. Diversi dubbi economici affliggono in realtà il progetto TAV. La nuova linea prevista migliorerebbe infatti l’offerta sia per quanto riguarda la qualità dei collegamenti (tempi di percorrenza) sia la quantità (crescita della capacità). Tuttavia la crescita della capacità si giustifica se una domanda crescente nel tempo rischia di saturare la capacità esistente, ma non è questo il caso della linea esistente la cui domanda è declinante da diversi anni e la sua capacità un multiplo della domanda attuale. Quanto alla qualità è evidente che la riduzione dei tempi di percorrenza garantita da linee ad alta velocità interessa il trasporto passeggeri ma non quello merci. E il trasporto internazionale passeggeri su questa linea è ridotto: nel 2000 vi erano quattro treni al giorno in entrambe le direzioni, due TGV Milano-Lione-Parigi e due EC Milano-Lione. Oggi vi sono solo tre TGV quotidiani da 360 posti sul percorso Milano-Lione-Parigi, offerti dalla sola SNCF (anche se in crescita rispetto ai due dell’orario 2011). Tuttavia questi treni non usano la tratta italiana ad alta velocità disponibile tra Torino e Milano ma la vecchia linea normale, impiegando un’ora e mezza tra le due città a fronte dei 54 minuti dei treni Frecciarossa di Trenitalia. Ma le linee AV non dovrebbero servire per la circolazione dei treni AV? E se i treni AV attuali tra Milano e Parigi non usano i quasi 150 km di linea AV esistente tra Milano e Torino, costati 8 miliardi di euro, perché mai avrebbero bisogno di altri 60 km di linea AV sotto le Alpi, il cui costo è ragionevolmente stimabile in almeno altri 8 o 10 miliardi di euro? |
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