c I telefonini e la miniera: scoppia la guerra sulle “terre rare” tra la Cina e il WTO - 15/03/2012 (Rassegna Stampa - Ass. Progetto Gaia)
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[Data: 15/03/2012]
[Categorie: Economia; ]
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I telefonini e la miniera: scoppia la guerra sulle “terre rare” tra la Cina e il WTO

Terre rare estratte dalla miniera di Bayan Obo – Foto: asianewsnet.net

Si chiamano terre rare (in inglese REE rare earth elements) e sono ambite almeno quanto il petrolio. Si tratta di 17 elementi naturali – dallo zinco al tungsteno – che si estraggono in poche miniere del mondo ma che sono indispensabili soprattutto per le apparecchiature elettroniche dai telefonini fino ai componenti dell’industria militare. Il problema maggiore sta nel fatto che, ovviamente, le terre rare non sono presenti in maniera omogenea in tutti i paesi ma sono ubicati qua e là: se poi è la Cina che produce dal 91% al 97% (i dati non concordano) si capisce quanto il problema sia scottante a livello internazionale. È di questi giorni il deferimento della Cina al WTO da parte di Stati Uniti, Giappone e Unione Europea per il fatto che la Cina ha disposto controlli sulla produzione e sull’esportazione di queste materie prime, ufficialmente per monitorare le questioni ambientali legate alle miniere, ma probabilmente per controllare meglio il mercato.

Riassume così Milano finanza: “La Cina ha il monopolio dell’estrazione dei minerali e del processo di trasformazione degli ossidi nei metalli che sono di fatto i principali componenti di qualunque dispositivo elettronico, dagli smartphone ai veicoli ibridi alle attrezzature militari. La Cina produce oltre il 95% delle terre rare esistenti al mondo. Gli Stati Uniti chiederanno alla Wto di imporre alla Cina di sospendere i controlli sulla produzione delle terre rare. Poiché non si intravedono segnali per una negoziazione, la questione molto probabilmente si evolverà in un caso totalmente a sfavore della Cina.

Nel 2009 gli Usa e l’UE hanno denunciato la Cina dinanzi alla Wto riguardo altre materie prime industriali, come il magnesio e lo zinco, sostenendo che la Cina limitasse le esportazioni per incrementare i prezzi e favorire i produttori locali. La Wto in quel caso si è opposta alla Cina e ha spinto le autorità mondiali a richiedere un trattamento analogo per quanto riguarda i 17 metalli che costituiscono le cosiddette terre rare.

Li Chenggang, dirigente del dipartimento legale del Ministero del Commercio cinese, ha affermato nel corso di un’intervista alla Xinhua, pubblicata il 1° febbraio che “Per quanto riguarda possibili azioni analoghe da parte di membri della Wto sulle politiche cinesi circa le terre rare, siamo pronti a ribattere in qualunque momento, conformemente alle norme e alle procedure della Wto”.

Anche l’Europa si muove in questa direzione con le nette parole del Commissario europeo al commercio Karel De Gucht che negli scorsi giorni ha affermato: “Le restrizioni cinesi sulle terre rare e altri prodotti violano le norme commerciali internazionali e devono essere rimosse. Queste misure danneggiano i nostri produttori e consumatori nell’Ue e in tutto il mondo, compresi i costruttori dell’hi-tech di avanguardia e delle green business applications. Nonostante la chiara sentenza del Wto nella nostra prima disputa sulle materie prime, la Cina non ha fatto alcun tentativo di rimuovere le restrizioni alle altre esportazioni”.

Secondo l’analisi di Greenreport sarebbero alcuni elementi rari ad essere più necessari all’industria europea. Il “tungsteno, un metallo molto duro che dà un contributo importante alla produzione di utensili in acciaio ed al raggiungimento di elevati livelli di produttività nelle industrie, viene usato in illuminotecnica, elettronica, ingegneria energetica, rivestimenti e “joining technology”, nell’industria automobilistica e aerospaziale e nella tecnologia medica. La Cina è di gran lunga il più grande produttore di tungsteno del mondo, con il 91% della produzione globale.

Il molibdeno è un elemento metallico che viene utilizzato principalmente come agente legante per la produzione di leghe più forte e resistenti al calore, grazie alla sua elevata temperatura di fusione.

Le leghe sono inoltre utilizzate per i filamenti delle lampadine. Le industri siderurgiche rappresentano più del 75% del consumo di molibdeno. La Cina è il principale produttore mondiale di molibdeno e rappresenta il 36% della produzione globale”.

La storia delle terre rare è abbastanza recente. Scrive l’analista franco-russo Alexandre Latsa, giornalista esperto in questioni geostrategiche: “Fino agli anni ‘50 la maggioranza delle terre rare veniva da Brasile ed India, poi è stato il Sudafrica razzista (e teoricamente sotto embargo) a fare la parte del leone fino agli anni ‘80, quando gli Usa presero per un breve periodo la vetta di questo mercato. La svolta è avvenuta negli anni 2000, quando la Cina della globalizzazione ha fatto calare i prezzi ed è praticamente diventata il monopolista delle terre rare, con fino al 95% della produzione mondiale. Questo ha permesso ai cinesi, come nel caso della crisi diplomatica con il Giappone del 2010 per rivendicazioni territoriali su un pugno di isole sperdute, di bloccare le forniture di terre rare, spaventando a morte le industrie occidentali ed asiatiche.

Più della metà della produzione cinese viene dal sito di Bayan Obo, in Mongolia Interna, e il 35% dalla provincia del Sichuan. E’ interessante sapere che più della metà della produzione cinese è consumata dalla Cina e che, nel 2009, il 50% delle sue esortazioni sono andate al Giappone, il 19%, agli Usa ed il 15% verso i Paesi industriali dell’Unione europea (principalmente Francia, Germania, Italia ed Olanda)”.

Le questioni ambientali legate all’estrazione delle terre rare sono veramente pesanti. Bayan Obo e la vicina cittadina di Baotou (da cui prende il nome l’azienda che gestisce la miniera) sono tra le zone più inquinate della Cina. Da lì provengono notizie frammentarie: “pochi chilometri dalla città molti portano maschere per proteggersi dalla polvere nera, che fa tossire e avvelena i polmoni, per la strada commercianti ambulanti le vendono per 2 yuan ai passanti. I minerali sono trattati e raffinati da decine, forse centinaia di fabbriche nella zona, che scaricano 24 ore al giorno nel lago locale i rifiuti di 7 milioni di tonnellate di minerale scavato ogni anno, dopo essere stato raffinato con acidi e prodotti chimici. A un chilometro dal lago e a 8 da Baotou sorge il villaggio Dalahai, vicini sono altri 5 villaggi con qualche migliaio di persone. Sono villaggi-del-cancro, la percentuale dei malati è molte volte maggiore la media nazionale, la gente ha mal di stomaco e perde i denti a 35-40 anni. Un residente, Jia Yunxia, racconta al South China Morning Post che il governo ha promesso loro un indennizzo. Ma non hanno ricevuto uno yuan e non hanno il denaro per comprare una casa altrove. Il Fiume Giallo scorre appena 10 km a sud. Nel 2005 studi ufficiali, tra cui quello di Xu Guangxian, ex presidente della Società chimica cinese, hanno accertato che la zona è contaminata con il torio, sorgente di radioattività e altre sostanze tossiche, che rischiano di inquinare il Fiume Giallo, fonte d’acqua per 150 milioni di persone. Gli studi sono rimasti segreti per anni”.

In conclusione il quadro che emerge, difficilmente coglibile in tutti i suoi particolari, ci parla di una battaglia commerciale dai grandi risvolti politici. La Cina vuole tenere stretto il suo quasi monopolio ma sa che non può chiudersi nel protezionismo. L’impatto ambientale, al di là delle dichiarazioni, resta un fattore secondario. Anche perché la soluzione della controversia potrebbe concludersi con l’apertura di nuove miniere, siano esse pure sui fondali oceanici. Perché quelle terre rare ci servono proprio. [PGC]

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