c Agricoltura e industria: la zona rossa dell'oro blu - 28/03/2012 (Rassegna Stampa - Ass. Progetto Gaia)
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[Data: 28/03/2012]
[Categorie: Documenti;Alimentazione;Ecologia;Economia;Movimenti;Politica; ]
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Agricoltura e industria: la zona rossa dell'oro blu

Ecosistemi d’acqua dolce (fiumi, laghi ecc.) ‘stressati’ dall’agricoltura, in primis dalla filiera agroalimentare con cibi (soprattutto carne bovina, latticini e cereali) che arrivano sulle nostre tavole dopo cicli produttivi ad alto consumo di acqua: è la ‘zona rossa’ su cui cittadini, imprese, investitori ed istituzioni devono incidere per ridurre i rischi di una crisi idrica globale.  E’ quanto rileva il WWF, in occasione della Giornata Mondiale dell’Acqua, che ricorre oggi 22 marzo, ricordando come l’oro blu sia uno dei temi portanti della propria campagna “Food, Water and Energy for all, for ever” lanciata in vista del Summit mondiale per lo Sviluppo Sostenibile Rio 20.

 Su un totale di 1,4 miliardi km³ di acqua disponibile sul Pianeta, solo il 2,5% (35 milioni di km³) è costituito da acqua dolce (fiumi, laghi, ghiacciai ecc.), di cui solo meno dell’1% è potenzialmente utilizzabile dall’uomo per le proprie necessità vitali, che invece si appropria del 54% di tutta l’acqua dolce accessibile, di cui il 70-80% nel mondo - in Italia circa il 60% - viene usato per l’irrigazione delle colture.

Il resto del 2,5% di acqua dolce sul totale di risorse idriche mondiali è così distribuito:  per circa il 70% (24 milioni di km³) è ‘imprigionata’ sotto forma di neve e ghiacci permanenti nelle regioni montuose, antartiche e artiche; per il restante 30% (0,7% delle risorse idriche totali) è confinata in depositi sotterranei (falde, umidità del suolo, acquitrini, permafrost, etc.) mentre solo lo 0,3% (105mila km³) è acqua superficiale di laghi e fiumi.

Una fotografia, quella scattata dal WWF Italia, che restituisce un’emergenza ambientale e sociale: gli ecosistemi d’acqua dolce, infatti, non solo forniscono l’habitat per la sopravvivenza di numerosissime specie ma consentono anche lo stoccaggio e la fornitura di acqua potabile per soddisfare i bisogni fondamentali della popolazione umana.

ECOSISTEMI E SPECIE D’ACQUA DOLCE A RISCHIO: LE OASI WWF COME ESEMPIO DI TUTELA. In Italia e in Europa le specie a rischio degli ecosistemi d’acqua dolce  sono soprattutto la lontra, per quanto riguarda i mammiferi, il Carpione del Garda e il Carpione del Fibreno, per i pesci; la Moretta Tabaccata e il Cavaliere d’Italia, per gli uccelli d’acqua. I Boschi ripariali (salici, ontani ecc.) sono quelli più minacciati.

Il WWF Italia da sempre attraverso le proprie Oasi protegge alcuni dei più importanti ecosistemi d’acqua dolce: sono 50 le Oasi WWF, su un totale di 120, che tutelano ecosistemi d’acqua dolce e le loro specie, come ad esempio le Oasi di Burano (Toscana), Orbetello (Toscana), Le Bine (Lombardia), le Saline di Trapani (Sicilia), e Valle Averto (Veneto).

L’IMPRONTA IDRICA ‘NASCOSTA’ NEL CIBO: FINO A 5MILA LITRI A PERSONA AL GIORNO. Più che dal prelievo di acqua potabile,  l’impatto principale sulla risorsa idrica in termini di consumi deriva dalle attività agricole e industriali.  Se infatti da un lato si registra un fabbisogno idrico giornaliero pro capite di 2-4 litri, dall’altro ci sono altre forme di consumo dell’oro blu, tra cui l’acqua ‘nascosta’ nei prodotti che utilizziamo, a cominciare da quelli alimentari.

Per produrre il cibo che una persona mangia ogni giorno sono necessari da 2mila a 5mila litri di acqua. Ogni alimento che entra a far parte della nostra dieta, infatti, ‘risucchia’, attraverso la filiera produttiva che lo ha portato nel nostro piatto, una quantità d’acqua necessaria a coltivarlo o ad  allevarlo (nel caso di derivati animali).

Alcuni consumi alimentari cibi incidono più di altri: in primis i cereali, che rappresentano il 27% dell’impronta idrica media individuale  (pari a 1385 m³ d’acqua l’anno), seguiti da carne (22%) e latticini (7%).In particolare, per quanto riguarda la carne, la più impattante è quella bovina: infatti mentre per produrre un kg di carne di pollo sono necessari circa 4.300 litri di acqua e per un kg di carne di maiale circa 6mila, per un kg di carne bovina sono necessari ben 15.500 litri.

 Le differenze tra le impronte idriche dei diversi Paesi sono quindi strettamente connesse  alle diverse scelte alimentari: negli Stati Uniti, ad esempio, dove il consumo di carne bovina - uno dei prodotti più insostenibili dal punto di vista idrico - è di 43 kg a testa l’anno, 4 volte e mezzo la media globale, l'impronta idrica interna individuale è di 2.842 metri cubi annui. In Italia, dove il consumo complessivo di carne pro capite è intorno ai 90 kg l’anno, di cui ¼ è carne bovina, l’impronta del cittadino medio raggiunge i 2.303 metri cubi annui.

 “Seppur rinnovabile, l’acqua dolce è una risorsa limitata e vulnerabile che può diventare sempre più scarsa. La crisi idrica non è più solo un’emergenza limitata alle regioni più povere del Pianeta ma è un problema globale che coinvolge sempre più aree del mondo”, spiega Eva Alessi, Responsabile Sostenibilità del WWF Italia. “Per contrastare la crescente pressione sulle risorse idriche mondiali è fondamentale: ridurne i consumi attraverso una dieta sana e sostenibile, che preveda un minor consumo di prodotti ad elevata intensità idrica, come la carne; orientare i processi produttivi delle industrie, soprattutto agricole; ridurre gli sprechi sia a livello di filiera (1/3 del cibo prodotto a livello globale diventa rifiuto prima di raggiungere le tavole) che nel frigo di casa”.

 COME RIDURRE L’IMPRONTA IDRICA: DAL CASO MUTTI AL CARRELLO DELLA SPESA VIRTUALE: Cittadini,  imprese, investitori ed istituzioni possono ridurre la propria impronta idrica cambiando e promuovendo abitudini alimentari e  strategie in grado di incidere sui processi produttivi per una riduzione dei consumi d’acqua.

Per quanto riguarda i processi produttivi, un caso-studio italiano di calcolo della propria impronta idrica e di riduzione del consumo di acqua in agricoltura è rappresentato da Mutti, leader di mercato nella produzione di concentrato, passata epolpa di pomodoro. E’ la prima azienda in Italia, e tra le poche al mondo, ad aver calcolato i consumi di acqua della propria produzione, dalla coltivazione del pomodoro al prodotto finito, avvalendosi del supporto scientifico del WWF e del Dipartimento per l'Innovazione dei sistemi Biologici, Agroalimentari e Forestali dell’Università della Tuscia (Viterbo). Questo progetto sperimentale, che non si basa su dati di letteratura ma su un effettivo calcolo dell’impronta idrica dell’intera filiera, ha preso in esame la quantità di acqua immagazzinata in ogni prodotto Mutti. Dato che l’83% dell’impronta idrica di Mutti è dovuta alla coltivazione del pomodoro, è agli agricoltori che Mutti rivolge maggiormente la sua attenzione, con una campagna di sensibilizzazione e di supporto per razionalizzare l’uso delle risorse idriche impiegate per la coltivazione.

 La riduzione dell’impronta idrica del 3%, annunciata nel novembre 2011, potrà essere ottenuta riducendo dell’11,5% l’acqua per l’irrigazione (componente blu), riducendo del 30% i fertilizzanti a base di fosforo, azoto e potassio (componente grigia) oppure combinando le due precedenti misure. La metodologia utilizzata per il calcolo dell’impronta idrica è quella del Water Footprint Network (WFN), la più autorevole rete mondiale che riunisce istituti di ricerca, agenzie governative, ONG e settore privato per promuovere l'utilizzo sostenibile, equo ed efficiente delle risorse idriche mondiali.

 Tra le cose che invece può fare  il cittadino, sia come utilizzatore del servizio idrico che come consumatore, c’è il calcolo della propria impronta idrica attraverso il carrello della spesa virtuale sul sito del WWF Italia www.improntawwf.it , che permette così di essere consapevoli di quanto ‘oro blu’ mettiamo nel nostro piatto con la scelta dei nostri prodotti alimentari.

Coming soon: Il WWF ha previsto per il 28 marzo il lancio del “Water Risk Filter”, uno strumento di valutazione dei rischi connessi all’approvvigionamento idrico da parte delle aziende che mapperà i bacini idrici a livello globale e che potrà essere utilizzato da investitori e grandi aziende per analizzare l’esposizione a minacce quali la scarsità idrica o l’inquinamento delle acque che impattano sulla catena di fornitura.

Scarica il rapporto in pdf

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