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[Data: 11/04/2012] [Categorie: Diritti della Terra;Ecologia;Politica; ] [Fonte: Greenreport.it] |
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Crimini ecologici come crimini contro l'umanità? Sulla base dello Statuto di Roma, entrato in vigore 1 luglio 2002, nasce la Corte penale internazionale, un tribunale internazionale permanente che - come è possibile leggere direttamente sul suo sito internet - è stato istituito per «indagare, perseguire e giudicare persone accusate di commettere i crimini più gravi che riguardano la comunità internazionale nel suo insieme, vale a dire il crimine di genocidio, crimini contro l'umanità, crimini di guerra e il crimine di aggressione». Dopo i tribunali di Norimberga e di Tokyo, istituiti a seguito della Seconda Guerra Mondiale, l'idea di un sistema di giustizia penale internazionale riemerse dopo la fine della Guerra Fredda, per poi trovare infine espressione concreta grazie alla Corte. Il mutare dei tempi pone però, adesso, il legittimo sbocciare di nuovi quesiti attorno al significato da attribuire ad un sistema di giustizia penale internazionale. Il crescente impatto antropico dell'economia umana sull'ecosistema mondiale si accompagna a crescenti difficoltà da parte delle istituzioni democratiche di fronteggiare ed indirizzare il cambiamento economico, ecologico e sociale in atto. All'interno di questo contesto, non appare più così etereo il definire e riconoscere quelli che potremmo chiamare "crimini ecologici" come veri e propri "crimini contro l'umanità". Greenreport.it ha contattato Cuno Tarfusser (Nella foto tratta da Alto Adige) - unico giudice italiano della Corte penale internazionale, e recentemente eletto come vicepresidente della stessa - per un confronto ed un approfondimento sul tema, che verrà pubblicato sul nostro quotidiano in due parti, tra oggi e domani. Quello dell'eccessivo impatto antropico sull'ecosistema è un problema derivante dall'attuale modello di sviluppo economico, non di singoli Stati, sebbene proprio i singoli Stati ne siano responsabili in misura variabile. La giustizia ecologica ed i relativi crimini sono un tema sempre più determinante per l'intero genere umano, sul quale però il diritto internazionale non sembra ancora in grado di tenere il passo... «La giustizia internazionale, sotto questo profilo, sostanzialmente non esiste, ma anche all'interno dei singoli Stati, su questi temi la giustizia riesce ad operare in modo variabilmente e comunque poco efficace. Sicuramente, però, la discussione sulla necessità di un più incisivo controllo giudiziario è aperta, ed è presente a vari livelli, sia in molti Stati, ma anche a livello internazionale. A quest'ultimo riguardo penso in particolare alle iniziative promosse dall'Accademia internazionale di scienze ambientali (IAES) che promuove e cerca di tenere vivo il dibattito sulla prospettiva della previsione di crimini ambientali quali crimini contro l'umanità affidando la giurisdizione alla Corte Penale Internazionale. Ad ogni modo, parlare di una nuova Corte ambientale internazionale autonoma, come anche di una possibile attribuzione all'attuale Corte penale internazionale di una giurisdizione estesa ad un ipotetico crimine per i disastri ambientali, significa parlare di cose che sono ancora al di là da venire. Soltanto da pochi anni si è cominciato effettivamente a discutere di questi temi, e prima che si realizzi qualcosa ad un livello accettabilmente internazionale ne passerà di acqua sotto i ponti. Un po' come accadde anche per la Corte penale internazionale di cui si iniziò a discutere sin da dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale ma la cui realizzazione era impedita dalla Guerra fredda. Si dovette attendere che si realizzassero le giuste condizioni storico-politiche (fine della Guerra Fredda, caduta del Muro di Berlino, gravissimi conflitti in diverse parti del Mondo) per trovare solo nel 1998 un consenso internazionale alla creazione della Corte. Al momento sulla tematica ambientale le sensibilità a livello internazionale sono diversissime, mentre l'efficacia dell'intervento giudiziario è dato solo nel caso in cui è in grado di ricomprendere paesi che coprono una fetta rilevante di mondo, con la prospettiva di riuscire un giorno ad incorporarli tutti. Allo stato delle cose, è difficile pensare che i grandi stati inquinatori che nemmeno firmano accordi internazionali volti a diminuire il livello dell'inquinamento globale decidano di ratificare una giurisdizione internazionale sui crimini ambientali...». Questa sua conclusione mi porta ad osservare che Cina, Usa e Russia - tre dei cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell'Onu - non aderiscono allo Statuto di Roma, e quindi neanche alla Corte penale internazionale. Sono, tra l'altro, Stati dalla determinante influenza internazionale, tra i più ricchi e con i maggiori impatti antropici sull'ecosistema: in generale, come influisce sulla portata dell'azione della Corte la mancata adesione da parte di player di questo calibro? «Innanzitutto vorrei osservare che ad oggi sono 121 gli Stati che hanno ratificato lo Statuto di Roma, ovvero circa due terzi di tutti gli Stati sovrani del mondo, e questo sicuramente è un dato importante. Altrettanto importante è poi annotare come il processo di ratifica sia un processo on going: da quando io sono alla Corte, ovvero da tre anni, sono 14 gli Stati che hanno ratificato lo Statuto. Bisogna rendersi conto che la creazione di una Giurisdizione penale sovranazionale è un mutamento culturale profondo, che confligge con una secolare idea della sovranità nazionale di cui la potestà punitiva è una delle massime espressioni. È un salto di non poco conto, quindi, ma se 121 Stati hanno già deciso di compiere questo salto, traspare evidente una tendenza verso il superamento della logica di una rigida sovranità nazionale gelosamente difesa. Detto questo, per quanto concerne Usa, Russia e Cina, se da un lato è comprensibile la loro ritrosia ad accettare una cessione di parte della sovranità, dall'altro bisogna annotare che c'è già stato un avvicinamento. Questo Stati, in particolare gli Stati Uniti, sono attenti osservatori della Corte ed in tale veste partecipano alle Assemblee degli Stati Parte. Per quanto concerne in particolare gli Stati Uniti il diverso clima nei rapporti con la Corte Penale Internazionale rispetto ai tempi di Bush è evidente. All'avversione verso la Corte si è sostituito molto interesse, ma probabilmente ancora non ci sono le necessarie maggioranze in ambito parlamentare per una formale ratifica da parte degli Usa. Io sono convinto che sta ora a noi, alla Corte, ai Giudici dare prova di efficienza, indipendenza ed autorevolezza, in modo da convincere anche questi Stati della bontà del progetto CPI per tutta la comunità internazionale. Detto questo e tornando all'attualità, la mancata ratifica dello Statuto di Roma da parte di Cina, Russia ed Usa porta certamente a delle anomalie. Gli stati membri del Consiglio di Sicurezza Onu (del quale Usa, Cina e Russia fanno parte come membri permanenti), infatti, possono attivare la Corte Penale Internazionale segnalando situazioni di conflitto su cui indagare anche rispetto a Stati che non aderiscono allo Statuto: tanto per esser concreti, sia la Libia che il Sudan - entrambi Stati-non parte dello Statuto di Roma - sono sotto investigazione da parte della Corte a seguito di risoluzioni del Consiglio di Sicurezza. Abbiamo quindi l'anomalia per cui un organismo, il CdS, di cui fanno parte Stati che non riconoscono la Corte, delegano alla stessa Corte poteri di investigativi e di giurisdizione penale, senza peraltro contribuirvi finanziariamente». Gustavo Zagrebelsky, presidente emerito della Corte costituzionale italiana, ha recentemente scritto che «Per soddisfare appetiti di oggi, non si è fatto caso alle necessità di domani. Ogni generazione s´è comportata come se fosse l´ultima, trattando le risorse di cui disponeva come sue proprietà esclusive, di cui usare e abusare», suggerendo poi come «la categoria del dovere», anziché quella del diritto soggettivo, sia più utile in casi come questo, quando si presenta una rottura dell'«unità di tempo». «Le generazioni successive non hanno diritti da vantare nei confronti di quelle precedenti, ma queste hanno dei doveri nei confronti di quelle»: cosa ne pensa? «Non ho né l'autorità, né l'autorevolezza per contraddire Zagrebelsky, e comunque sottoscrivo in pieno questo suo messaggio. Lo vedo, ad esempio, riflesso molto bene in Africa dove la Corte oggi è maggiormente impegnata. Tramite la colonizzazione, noi occidentali siamo andati in questo continente a razziare materie prime, non badando minimamente ai bisogni e ai diritti delle popolazioni indigene, e questo comportamento predatorio, miope, egoista e prevaricatore ci sta adesso tornando indietro come boomerang attraverso le migrazioni di cui ora ci lamentiamo. Se la colonizzazione fosse stata una risorse non solo per i colonizzatori, ma anche per i colonizzati, forse adesso questi starebbero meglio, e probabilmente questo effetto boomerang non ci sarebbe, e non avremmo lasciato sul territorio situazioni estremamente pesanti che si sono poi declinate in genocidi e guerre civili. Non c'è dubbio che da questa nostra storia non abbiamo purtroppo imparato niente, a causa della miopia umana che guarda sempre all'interesse immediato. Anche la politica guarda all'oggi, perché solo dall'oggi potrà trarre nuovi voti». Questo che potrebbe essere definito come il problema temporale, come confermano gli psicologi, sembra proprio essere una costante dell'essere umano. Pensa che il sistema delle leggi, o meglio della giustizia, come pure le istituzioni democratiche che ci diamo come società, possano in qualche modo intervenire? «La giustizia, o meglio, i sistemi giudiziari, nazionali così come sovranazionali come la nostra Corte, sono espressione della società in cui viviamo e quindi traduzione pratica normativa di ciò che la politica - e quindi le istituzioni democratiche che rappresentano i cittadini - giudica rilevante in termini penali. Se la società, rappresentata dalla politica, non ritiene rilevante che determinate condotte, ad esempio di inquinamento ambientale, debbano essere investigate e punite, la giustizia non può farci nulla». «Assolutamente no, sono molto più probabili interventi di tipo politico piuttosto che la creazione di una Corte per i crimini ecologici, in qualsiasi forma la si intenda. Una corte internazionale sottrae maggiore sovranità nazionale ai singoli Stati, mentre l'altra soluzione garantirebbe alla politica maggiore libertà di manovra in termini di compromessi e di gestione del potere. Certamente, è comunque positivo che quei 900 trattati di cui parla esistano, come è positivo che esistano tribunali nazionali e internazionali, sebbene imperfetti: pensiamo a dove saremmo senza. Quel che la mia esperienza mi porta però a pensare è che questi potrebbero sicuramente funzionare già ora molto meglio di quanto non facciano. Alla radice, la domanda che mi pongo è se parte del potere politico voglia o meno che funzionino meglio. Finché noi giudici facciamo gli spazzini, togliamo dalle strade ladri e spacciatori va bene, ma quando capita di toccare interessi troppo alti o di trovare un politico con le mani nella marmellata si grida al complotto. Detto questo, non credo si debba scadere nel pessimismo; si tratta semplicemente di essere realisti e tirare fuori il meglio da quello che c'è senza però mai nemmeno accontentarsi». I cambiamenti climatici accelerati dall'impronta antropica, un fallout radioattivo, ma anche e soprattutto la speculazione selvaggia e incontrollata sulle commodity (non solo alimentari), nonché lo sperpero delle risorse energetiche e materiali disponibili, rappresentano abusi su fette enormi della popolazione mondiale, e moralmente la coinvolgono per intero. Si avverte la necessità crescente di un intervento secondo giustizia, contro quelli che potrebbero ben essere definiti crimini contro l'umanità, sui quali proprio la Corte ha giurisdizione. Quali pensa siano gli ostacoli che impediscono di agire in questo senso? «Si tratta di un problema di norme, circa il riformulare o l'aggiungere alla formulazione già esistente una condotta che possa ricomprendere i crimini ambientali: la questione gira attorno ad una loro precisa definizione, con la conseguente scrittura di una condotta penalmente rilevante e delle relative sanzioni. I crimini contro l'umanità, così come sono attualmente formulati, non ricomprendono al loro interno i crimini ecologici. Se si avverte la necessità di procedere in questo senso, la direzione da imboccare è solo quella di sedersi ad un tavolo e definire la condotta che integra il "crimine contro l'umanità ambientale", ma al momento - come già accennavo prima - siamo molto lontani da tutto ciò». Ed a chi immagina spetterebbe l'onere di prendere l'iniziativa, per procedere in tal senso? «A chi ha la sensibilità per farlo e allo stesso tempo il potere politico di imporre che se ne discuta seriamente. Penso a questo riguardo all'Onu, che delegò l'Italia a organizzare una conferenza per la stesura di quello che poi diventò lo Statuto di Roma, portando quindi alla nascita della Corte penale internazionale. Ma anche l'Onu, comprensibilmente, si muove in una logica politica di consenso, e dunque solo se c'è uno spiraglio di successo concreto prenderà l'iniziativa. Prima di arrivare ad un passo vero e proprio in questa direzione vi sarà una lunga stagione di contatti politici e diplomatici preliminari. Basti pensare che per giungere a concretizzare l'idea di un "crimine ambientale contro l'umanità" è necessario che i singoli Stati antepongano l'interesse allo sviluppo interno lo sviluppo globale del pianeta. Questo purtroppo mi sembra una chimera considerato anche alcuni dei paesi più avanzati non si muovono in quest'ottica, privilegiando esclusivamente i vantaggi a loro interni ed immediati: è una logica che capisco, ma ovviamente non condivido. L'uomo non sembra fatto per anteporre gli interessi globali ai propri, ma la realtà catastrofica sotto il profilo ambientale che abbiamo davanti e la forza del dibattito, porteranno sicuramente ad un tribunale per i crimini ecologici internazionali: il problema è solo quando questo accadrà e speriamo che non sia già troppo tardi». |
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