Nasa: nuovi studi sul legame tra tempeste polari e deriva dei ghiacci
FIRENZE. Nuove ricerche condotte dalla Nasa evidenziano come l’aumento del numero e dell’intensità delle tempeste avvenute nell’ultimo mezzo secolo nell’Artico, causato dal riscaldamento delle acque, stia provocando un aumento della velocità di deriva dei ghiacci galleggianti. Ciò a sua volta potrebbe costituire (insieme all’aumentato regime dei venti rispetto al passato) un fattore di maggiore rimescolamento delle acque superficiali e di quelle profonde, costituendo così un elemento di feed-back negativo per il surriscaldamento globale in quanto un maggiore rimescolamento degli strati può aumentare la capacità di stoccaggio, da parte dell’oceano, della CO2 atmosferica.
La ricerca, coordinata da Sirpa Hakkinen del Goddard space flight center della Nasa, è stata condotta in collaborazione con studiosi dell’Arctic and antarctic research institute di san Pietroburgo, principale centro di studi glaciologici della federazione russa. Il presupposto di partenza, si legge, è stata la vecchia e accreditata teoria per cui un aumento delle temperature causa un aumento dell’instabilità del clima: i ricercatori hanno osservato che «il graduale riscaldamento delle acque ha spostato verso nord il percorso che seguono molti cicloni atlantici e pacifici», causando così un aumento dell’instabilità del clima (e del numero di tempeste significative) nelle regioni artiche.
I dati riguardanti i percorsi seguiti dalle tempeste negli ultimi 56 anni sono stati analizzati, e incrociati con le analisi sui movimenti della banchisa nello stesso periodo, ottenendo appunto il legame tra l’aumento delle tempeste (e quindi della ventosità media) in zona e quello della velocità di deriva dei ghiacci galleggianti: «abbiamo registrato un aumento di magnitudine dei venti di superficie negli ultimi 56 anni» - ha spiegato Hakkinen - «che ci dice che l’attività delle tempeste e i movimenti del ghiaccio marino sono legati da una relazione di causa-effetto. Ciò finora non era stato provato. Questa relazione riveste grande importanza per la stabilità dell’oceano Artico, e per il rimescolamento degli strati caldi e freddi delle sue acque», poichè «il ghiaccio galleggiante in movimento causa un rimescolamento degli strati superficiali significativamente maggiore di quello che si avrebbe senza la “spinta” del ghiaccio».
Questo rimescolamento potrebbe costituire un feed-back negativo (cioè un freno) al global-warming per due motivi: anzitutto esso aumenta l’instabilità atmosferica locale, portando ad una minore insolazione, poichè esso causa forti moti convettivi dagli oceani che poi originano i fenomeni meteorici (a loro volta vettori di rimescolamento delle acque). In secondo luogo, come già detto, la capacità di assorbimento della CO2 atmosferica da parte degli oceani aumenta con il rimescolamento dei loro strati idrici.
«Anche se resta da vedere quanto questo potrà contare in futuro – ha concluso Hakkinen – è semplicemente affascinante la probabilità che questo trend e il suo legame con l’instabilità atmosferica e la deriva dei ghiacci possano aumentare il ruolo dell’Artico di “rubinetto” per estrarre dall’atmosfera CO2 derivante da combustibili fossili». Se lo scenario si rivelasse, in futuro, coerente con le ricerche effettuate, esso «potrebbe naturalmente condizionare l’intero sistema climatico e la sua evoluzione».
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