Crollo o sostenibilità
FIRENZE. Ci sono voluti 30 anni perché uno dei più autorevoli economisti della nostra epoca, John K. Galbraith, facesse capire all’opinione pubblica mondiale quali erano state le cause reali della funesta depressione che colpì l’economia americana nel 1929. Nel 1955 fu pubblicato “il Grande Crollo”, nel quale Galbraith ammoniva le future classi dirigenti americane con le seguenti parole: «Oggi, come sempre nella Storia, capacità finanziaria e perspicacia politica sono inversamente proporzionali…la tendenza delle classi dirigenti e della politica è l’inazione al presente anche se essa significa gravi guai nel futuro. Questa è la minaccia per il capitalismo almeno altrettanto grave di quella rappresentata dal comunismo».
Questa ammonizione risulta ancora di più profetica se la confrontiamo con quanto ha detto Al Gore a New York quest’estate (17 Luglio, “Una sfida generazionale per rigenerare l’America” ), alla vigilia del grande tracollo del mercato finanziario globale come conseguenza del “crunch”del credito e dei mutui americani : «Ci sono momenti nella Storia di questa nazione nei quali il nostro autentico modo di vivere dipende dalla capacità che abbiamo di allontanare le illusioni e i falsi miti per risvegliarci di fronte alla sfida di un pericolo reale. In questi momenti della Storia noi siamo chiamati a muoverci rapidamente, ad aprire bene gli occhi e a sollevarci con la determinazione necessaria per realizzare grandi cambiamenti. Ecco, oggi, noi ci troviamo in uno di questi momenti della Storia e la sfida non riguarda solo noi , bensì il futuro della civiltà umana».
Come scriveva John Elkington, nell’ormai lontano 1978, vi sono elevate possibilità che i grandi cambiamenti climatici rappresentino per l’umanità una delle «estreme lezioni sulla Teoria del Caos».
In altre parole, vi sono molte probabilità che quell’atteggiamento di inazione (denunciato da Galbraith nel 1955 come uno dei rischi mortali del capitalismo) delle classi dirigenti e politiche nei confronti dei grandi cambiamenti necessari per rispondere in tempi efficaci alle conseguenze delle grandi modificazioni climatiche in corso, prevalga nell’errata valutazione che la depressione economico-sociale, conseguente al crollo dei mercati finanziari, non permetta di affrontare le numerose azioni e gli ingenti investimenti che la sfida delle modificazioni climatiche globali sta ponendo alla percezione dell’umanità.
Al Gore, quest’estate a New York, ha indicato un percorso e una soluzione a questa drammatica sfida: «Incito la nostra nazione a produrre il 100% dell’elettricità che serve le nostre comunità dalle energie rinnovabili e da sorgenti veramente pulite esenti da carbonio entro 10 anni. Questo obiettivo è raggiungibile sia a livello tecnologico sia a livello economico e possiede un’eccezionale capacità di trasformazione dell’intera economia americana, rigenerando la produttività di questo Paese e riportando verso il pareggio il nostro eccezionale debito verso l’estero».
Sono le parole di un autentico leader, al quale sono mancati 3000 voti per divenire Presidente degli Stati Uniti , impedendo così che gli otto anni della Presidenza Bush affermassero nel mondo l’ideologia sciagurata “della guerra infinita” e l’inazione verso le due sfide ( del clima e del credito) che rischiano di mettere in ginocchio la nazione più potente del mondo.
A nulla è servito il segnale premonitore dell’uragano Kathrina che ha distrutto una delle città simbolo di questo Grande Paese, New Orleans, dove “ l’inazione “ ha provocato migliaia di morti e ingenti e durevoli danni economico-sociali.
Sono quasi le stesse parole di un altro leader americano, che è candidato anch’esso a divenire Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, se nelle prossime elezioni di novembre sconfiggerà il candidato Repubblicano, John McCain. Obama ha affermato nella memorabile convention del partito democratico che «l’economia ecologica è l’unica risposta alternativa alla crisi della globalizzazione economia e finanziaria».
La riscoperta della necessità dell’intervento pubblico come guida e sorgente di indirizzo degli investimenti privati, mantenendo la piena libertà di concorrenza e competizione del mercato e delle forze economiche che lo utilizzano, rappresenta uno strumento importante nell’economia americana, ma anche un messaggio “ideologico” che si rivolge al mondo intero, ivi compresa l’Europa.
E’, infatti, grazie alla riscoperta di questo ruolo “dell’intervento pubblico nell’economia” che può affermarsi un nuovo scenario di sviluppo sostenibile delle nazioni e delle comunità locali, facendo divenire il concetto di “villaggio globale” un obiettivo concreto di un’economia multi-relazionale la cui sussidiarietà fluisce dagli Stati nazionali, alle regioni e alle comunità locali. Come aveva intuito Isaac Asimov poco prima della caduta del Muro di Berlino (1989), la crescita illimitata dell’economia di mercato, motivata dalla sempre più estesa domanda di bisogni materiali da parte della popolazione mondiale in costante crescita, produce nel lungo periodo la distruzione completa della democrazia.
La sempre minore disponibilità di risorse (energia, materie prime, acqua, suolo agricolo) per una sempre crescente domanda di merci e di beni di consumo scatena le “guerre per la sopravvivenza” che iniziano dai popoli più poveri e meno provvisti di risorse ma che, successivamente, si propagano anche ai Paesi più ricchi. E’ sempre avvenuto, nella Storia delle varie civiltà umane e così avviene anche oggi.
Asimov era particolarmente preoccupato che la sovversione della democrazia fosse catalizzata dalla crescita smisurata della popolazione a livello mondiale. Solo recentemente,(2002) uno dei fondatori della nuova scienza dell’Economia Ecologica, Robert Costanza, ha invece preconizzato che le grandi modificazioni climatiche rappresentino la minaccia più concreta e più pericolosa alla progressiva decadenza della democrazia nei Paesi occidentali ed in via di sviluppo.
Nella sua teoria, Costanza stabilisce un nesso inscindibile tra sviluppo sostenibile e sviluppo della democrazia, poiché i fattori costitutivi di questo sviluppo sono la multirelazionalità delle economie, il multilateralismo della politica estera, la cooperazione e la sussidiarietà tra i popoli, il decentramento delle risorse energetiche rinnovabili e il riuso delle materie secondarie, la partecipazione degli abitanti e la diffusione della società della conoscenza e della cultura.
Peter Droege, oggi presidente del “World Council for renewable Energy”, afferma, inoltre, che è necessario uno “ sviluppo creativo “anche per le città contemporanee in modo da favorire il distacco progressivo dalla fuorviante convinzione che le città moderne rappresentino l’apice della modernità.
Per divenire “ moderne” ( nell’autentico senso del termine, evitando che questa parola diventi anch’essa un ossimoro) esse devono recidere i tentacoli della dipendenza assoluta dai combustibili fossili, riducendo l’impronta ecologica dei contesti urbani e rimediando, in questo modo, all’impatto sul clima a scala mondiale prodotto dall’urbanizzazione fossile.
Economia Ecologica, sviluppo sostenibile delle comunità, Democrazia: sono tre risposte inscindibili e complementari alla sfida che minaccia il futuro delle nuove generazioni, quella delle modificazioni climatiche. Non dobbiamo dimenticare questo legame, esso è di vitale importanza per tutti gli bitanti di questo Pianeta, proprio come ci insegna un episodio poco conosciuto e ormai lontano nel tempo.
Nel 1930, in un paese africano, il Mali, il colonialismo francese varò un grande piano per la coltivazione del cotone. Per realizzare questo piano era necessario preparare il suolo da destinare alla coltivazione del cotone ed i numerosissimi alberi di baobab che popolavano la savana ne erano un ostacolo. Fu deciso di abbatterli tutti.
Ma il baobab nell’Africa Occidentale è un albero di grande significato culturale e sociale, in quanto luogo di assemblea e corte di giustizia per i governanti locali. Con parole occidentali, potremmo dire che è un simbolo e un luogo di esercizio della democrazia.
Con la scomparsa dei baobab, in Mali, scomparve anche la democrazia tribale che stava alla base di quella società.
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