Il mercato delle emissioni e la crisi finanziaria
ROMA. Mentre gli istituti finanziari soffrono, c’è un mercato in crescita esplosiva nel mondo: quello della compravendita di diritti di emissione di anidride carbonica e dei gas serra. Secondo gli analisti della New Energy Finance questo mercato a livello planetario fatturerà a fine anno ben 116 miliardi di dollari: con una crescita dell’80% rispetto al 2007.
Dall’inizio dell’anno fino a settembre nella sola Europa la compravendita dei crediti per le emissioni di gas serra è passata da 64 a 87 miliardi di dollari: una crescita del 36%. Il motivo è molto semplice: il costo delle emissioni sta aumentando, perché il termine ultimo per rispettare il Protocollo di Kyoto, l’anno 2012, si sta avvicinando. L’Europa deve ridurre in media dell’8% le proprie emissioni entro il 2012. Non tutti i paesi sono in grado di realizzare tagli effettivi e quindi si rivolgono alla «borsa delle emissioni» per acquistare crediti, facendo lievitare i prezzi.
Il Protocollo di Kyoto non prevede sanzioni per i paesi che lo hanno ratificato e non lo rispettano. Ma l’Europa sì, prevede multe salate per chi non rispetterà il trattato. Ecco perché i paesi membri dell’Unione sono i più attivi acquirenti dei «crediti di emissione».
Alcuni sostengono che questi paesi stanno approfittando troppo della possibilità di acquistare sul mercato il diritto a emettere gas serra. E che alla lunga il meccanismo potrebbe non reggere. Soprattutto in un momento di crisi dell’economia: più di un governo – quello italiano già lo ha fatto – potrebbe essere indotto a chiedere deroghe all’Unione europea.
Bruxelles avrà la forza di respingere al mittente queste richieste?
Ma la crisi finanziaria globale potrebbe avere altre ripercussioni sulla lotta ai cambiamenti climatici. Se essa dovesse trasformarsi in crisi dell’economia reale, per esempio, potremmo aspettarci una diminuzione delle emissioni attese di gas serra.
Ma è anche vero che, in un momento di crisi acuta, la volontà politica potrebbe deprimersi ancor più dell’economia. Negli Stati Uniti, per esempio, molti senatori e deputati già iniziano rimuginare l’idea di fermare o, comunque, rivedere profondamente il cap-and-trade plan, il progetto di instaurare anche nel grande paese che non ha ratificato il protocollo di Kyoto una sorta di «borsa delle emissioni». Nessuno sostiene che bisogna tornare al tempo in cui si negava ogni impegno contro i cambiamenti del clima. Ma alcuni – come Rick Boucher, rappresentante democratico al Congresso della Virginia – chiedono che se impegni dovranno esserci che non comportino oneri aggiuntivi per le imprese in un periodo di vacche magre se non di aperta recessione.
Finora i candidati alle presidenza non hanno modificato la loro proposta politica sui cambiamenti climatici. Barack Obama, in particolare, continua a chiedere che le imprese paghino per l’acquisto di crediti di emissione. E che i fondi così recuperati vadano poi a finanziare lo sviluppo delle energie rinnovabili.
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