Pesi eccessivi sull'impresa europea
Tutto si può fare. Compreso procedere a occhi chiusi, ma con una certa eurobaldanza, nella conferma di ciò che si è stabilito nel marzo 2007 e ribadito a gennaio 2008. Prima del deflagrare di una crisi finanziaria e bancaria di tale violenza da costringere i Governi dell'Eurozona a mettere ora sul piatto aiuti pubblici per almeno 2.250 miliardi. E prima delle continue revisioni al ribasso della crescita prevista per i Paesi dell'Europa, fino al segno meno che indica la recessione.
Per il pacchetto europeo Energia e Clima (noto anche come «20-20-20», per abbattere del 20% entro il 2020 le emissioni da gas serra, ridurre del 20% i consumi energetici e portare al 20% l'usodi energia da fonti rinnovabili) sembra che nulla sia cambiato. Almeno secondo il presidente della Commissione Manuel Barroso: «Non dobbiamo diluire le nostre ambizioni, non vedo alcuna ragione per cambiare questi obiettivi».
Il «20-20-20» sarà oggi all'esame del vertice dei capi di Stato e di Governo a Bruxelles.L'obiettivo è arrivare a un'intesa entro dicembre, ma la partita è aperta, perché sono diversi i Paesi che guardano con preoccupazione al dispiegamento del pacchetto cui è collegata la direttiva sulle emissioni delle automobili. Ed è forte, in tutta Europa, la spinta del mondo dell'impresa affinché si proceda a una riconsiderazione del problema.
L'iniziativa congiunta degli industriali di Italia e Germania ha messo sul tavolo dei premier Silvio Berlusconi e Angela Merkel richieste precise in questo senso. Questa sera il tema sarà al centro dell'incontro tra Berlusconi e il Presidente francese Nicolas Sarkozy. Secondo il Governo, che nei giorni scorsi si è mosso con successo sullo scacchiere anti-crisi, l'Italia dovrebbe sopportare costi di 170-180 miliardi di euro in 7 anni. Si tratta di una cifra enorme, capace di ipotecare il futuro della politica economica. Una cifra che rileva un "interesse nazionale" che sarebbe sbagliato etichettare come una qualunque azione di lobbying, per di più odiosa perché insensibile alle sorti climatiche e ambientali del pianeta. Inoltre, siamo in presenza di uno sforzo finanziario ingente proprio nel momento in cui le condizioni del credito, per le industrie e per le famiglie di tutta Europa, sono tra le più difficili che si possano immaginare.
Nessuno contesta l'obiettivo finale: clima e ambiente non sono dati accessori, furbescamente aggirabili. Sono essi stessi parte integrante dell'unico sviluppo possibile, quello cosiddetto «compatibile». Però che si ragioni sulla sostenibilità di un piano che, se centrato, evidenzierebbe per l'Europa (nel 2020) un contributo alla riduzione mondiale dei gas del 2%e per l'Italia un contributo dello 0,3%, non pare uno scandalo. Nell'interesse dei consumatori-contribuenti, sui quali finirebbero per scaricarsi i costi di una simile operazione, e anche perché la riduzione unilaterale decisa dall'Europa vincolata al Protocollo di Kyoto, si specchia, allo stato dei fatti, nelle «mani libere» di Usa, India e Cina.
Peraltro, non è questa la sola asimmetria geo-economica a stagliarsi all'orizzonte. Il Governo Usa, a fronte della crisi dei colossi dell'auto come Gm, Ford e Chrysler, ha appena varato un prestito da 25 miliardi di dollari. Mentre nell'Europa del «20-20-20» si finisce per penalizzare le auto di fascia medio- bassa (leggasi Fiat) rispetto a quella medio- alta (leggasi case tedesche) a motivo del fatto che in termini di prezzi la riduzione di CO2 incide più sulle «piccole» che sulle «grandi».
Questione tutt'altro che irrilevante.
Diluire le ambizioni, nessun motivo per cambiare? A proposito di flessibilità, colpisce che l'altolà di Barroso sia arrivato nel giorno in cui la Commissione ha di fatto aperto a una visione meno angusta del rispetto dei parametri di Maastricht relativi al rapporto deficit/Pil, che potrà varcare la soglia del 3%. È vero, le «circostanze eccezionali» erano previste dal 2005, ma l'averlo ricordato ieri, con ciò allentando in concreto una morsa incompatibile con le conseguenze della crisi mondiale, suona da un lato come una presa d'atto realistica e dall'altro come una nota storta rispetto alla rigidità espressa sul pacchetto Energia e Clima.
L'economia reale e le conseguenze della crisi saranno comunque al centro del vertice europeo. Meglio così, sarà l'occasione per parlare anche di infrastrutture, di credito alle imprese e di ruolo più forte della Bei (per la quale c'è un progetto del ministro Tremonti). Ci sono motivi per cambiare e per alzare, allo stesso tempo, il livello delle ambizioni.
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