Pacchetto clima, qual è la reale posta in gioco?
ROMA. Qual è la reale posta in gioco dello scontro che contrappone il governo Berlusconi e l’Europa, su tempi e contenuti della direttiva sul clima? Dall’esito che avrà questo confronto dipendono in realtà molte delle possibilità di un accordo globale e vincolante che permetta al mondo di fronteggiare il cambio di clima, recuperando i ritardi accumulati. Dal realizzarsi o meno di questa intesa si decideranno le caratteristiche e il peso, che il vecchio continente avrà nella crisi della globalizzazione.
La Confindustria e Berlusconi nella loro polemica contro la direttiva europea sulle tre venti continuano a non misurarsi con il contesto, che ha spinto l’Europa a decidere in modo unilaterale e vincolante di ridurre i gas serra del 20% nei prossimi anni.
Questo contesto è caratterizzato dall’ormai chiaro fallimento degli obiettivi di Kyoto, di cui il nostro paese è uno dei principali protagonisti ma di cui nessuno parla: il mondo ha aumentato e non diminuito le emissioni, come invece chiedeva il protocollo. A questo deludente risultato si contrappone la drammatica rapidità con cui i cambiamenti climatici confermano le previsioni dei quattro rapporti sul clima dell’IPCC.
L’Europa, che è stata la principale protagonista del faticoso cammino che portò alla firma del protocollo di Kyoto, non poteva stare ferma e farsi trascinare nell’immobilismo. Lo scontro di questi giorni non è una novità e configura un pericolo, lo stesso che si delineò sulla moneta unica, quello di un’Europa a due velocità. Da un lato un’ Europa avanzata che procede spedita nella lotta all’effetto serra e quindi realizza i necessari cambiamenti del sistema energetico e di trasporto e dall’altra l’Europa arretrata che invece consolida le sue arretratezze in dissennate politiche energetiche, basate sul carbone e su una crescente dipendenza dalle energie fossili climalteranti.
L’arma della unilateralità è voluta dai paesi europei più avanzati, non solo per consolidare la guida acquisita della lotta al riscaldamento globale e quindi per mettere a profitto i cambiamenti introdotti nelle loro economie, ma contemporaneamente anche per farne un’arma di pressione nei confronti degli Stati Uniti, ma anche di Cina, Russia, India e Brasile, per costringerli ad una trattativa e ad una nuova Kyoto.
L’offensiva scatenata da Confindustria e dal governo italiano puntava, non solo ad ottenere sconti e regole meno vincolanti e più flessibili, in particolare una estensione delle possibilità di conteggiare come riduzioni delle emissioni gli investimenti in rinnovabili fatti in altri stati, ma anche e soprattutto la messa in discussione di questo unilateralismo, che avvantaggia solo i paesi europei più forti e previdenti.
Che sulla posizione italiana si siano schierati la Polonia e nove paesi dell’ex unione sovietica la dice lunga su quanto poco in questi anni i governi che si sono succeduti in questo paese, compresi quelli di centro sinistra, abbiano creduto nelle opportunità che investire nella lotta al cambio di clima offriva al paese e al suo sistema industriale. Indebolire però quest’arma è una scelta grave e sbagliata, proprio perché può creare difficoltà ad una intesa globale il prossimo anno a Copenaghen, che l’auspicabile e possibile vittoria di Obana nelle presidenziali americane, renderebbe sempre più praticabile. Questa è la posta in gioco dello scontro in atto fra le due europe. Se si vuole sottrarre il nostro paese dal ruolo di retroguardia in cui l’hanno cacciato Berlusconi e le destre è tempo che si capisca che serve sviluppare qui una opposizione efficace e non pensare che questo compito possa essere affidato solo alla determinazione dell’Ue.
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