Anche Soros invoca un New Deal rinnovabile da Obama
LIVORNO. "Ora c’è bisogno di un nuovo motore: e l’opportunità viene dal global warming e dalla necessità di raggiungere l’indipendenza energetica. Ci sarà bisogno di enormi investimenti in energie alternative e nelle tecnologie per rimuovere il carbonio dai combustibili fossili, in particolare dal carbone. Questo vorrà dire meno disoccupazione, più investimenti e rilancio dell’economia mondiale".
Non è una frase estratta da un comunicato di una qualche associazione ambientalista, ma sono parole di George Soros, una delle principali menti di Wall street, che ha le idee molto chiare sia sulla crisi economico finanziaria planetaria (che non era niente affatto inaspettata) e sulle cause che l’hanno provocata (processi del tutto interni al sistema "che contraddice il paradigma tradizionale della finanza, secondo cui i mercati tendono verso una situazione di equilibrio") ma soprattutto dimostra di avere una grande lucidità sul modo di uscirne.
Lasciandosi alle spalle non solo i venerdì (ma anche i lunedì e in generale tutti gli altri giorni della settimana da un po’ di tempo a questa parte) neri delle borse, ma soprattutto rivedendo il modello economico attuale che ha dimostrato di non portare più da nessuna parte.
La speranza, anche Soros, la ripone nel cambio di guardia che potrebbe (si spera) esserci alle prossime elezioni presidenziali degli Usa, con Obama che "potrà darci qualcosa di simile al New Deal di Roosvelt. Un altro tipo di new deal" sottolinea Soros, perché la ricetta di riporre tutte le speranze della ripresa economica nei consumi, "non è più sostenibile".
Partendo dalla constatazione del tutto realistica, che gli Usa "non godono più della posizione dominante che avevano in passato" e che quindi la prossima presidenza degli Usa dovrebbe "indicare una strategia da adottare a livello internazionale" perché non è cosa che gli Usa possono fare da soli.
Mancano ormai pochi giorni per sapere chi guiderà questa fase nei prossimi anni e certamente la possibilità che la presidenza degli Usa passi al democratico Obama, è quella che più verosimilmente potrà portare a cambiamenti reali nella politica americana sia interna che nei confronti del resto del mondo. Sarebbe ingenuo pensare ad una rivoluzione in chiave sostenibile, ma i segnali che già arrivano sembrano indicare comunque che il vento sta cambiando.
Non solo infatti nelle promesse elettorali del candidato Obama si parla di investire nelle energie alternative 150 miliardi di dollari creando l’opportunità di cinque milioni di nuova occupazione, e di avere come obiettivo di ricavare il 10% dell’energia americana da fonti rinnovabili entro il 2012 e il 25% entro il 2025, ma già nel pacchetto anticrisi di 700 miliardi di dollari varato dal congresso all’inizio del mese è stato inserito un credito fiscale per gli investimenti nelle energie alternative, ampliando ed estendendo per i prossimi otto anni le agevolazioni ai produttori di energia solare e per un anno a quelli di energia eolica.
Forse anche perché nella Silicon valley, l’area dove è partita la prima rivoluzione tecnologica dell’era on line, è già avviata anche la rivoluzione verde e la crisi finanziaria rischiava di mandare a rotoli molti degli investimenti fatti. Ma la Silicon valley non è l’unica area dove si lavora sulle energie rinnovabili negli Usa, Un business che non si è orientato solo nei biocarburanti, tanto che l’energia solare immessa in rete nel 2007 ha registrato un aumento del 125 % rispetto all’anno precedente.
Un panorama assai diverso da quanto si respira a casa nostra, dove si considera un lusso investire nell’ambiente in periodo di crisi e un orpello troppo ingombrante per il futuro delle imprese puntare su progetti d’innovazione tecnologica per frenare il surriscaldamento del pianeta.
Infatti si taglia: e il ministero dell’Ambiente con una diminuzione del 18% dei fondi previsti in finanziaria diventa il secondo dicastero più sfrondato, e non è che partisse da una buona posizione.
Si taglia la ricerca su energia e fonti rinnovabili (-18,2% ma i tagli non riguardano il nucleare che continua fare la parte del leone), si taglia su ricerca e innovazione (-8,2%) e sullo sviluppo sostenibile tout court (-16,4%).
Quindi non si può certo sperare in un cambio di rotta da parte del Governo che ha in mente una politica economica stile anni cinquanta e che non ha nessuna intenzione di rivederla, come ha fatto ribadito il premier da Pechino. Non resta allora che sperare nelle politiche regionali che almeno da quanto emerge dal resoconto Ue sulla programmazione dei fondi europei previsti dal quadro strategico 2007-2013 , prevede di investire due terzi delle risorse in innovazione, tutela dell’ambiente, clima ed energia.
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