Il quarto Rapporto Ipcc, questo sconosciuto (2)
FIRENZE. Abbiamo evidenziato (vedi prima parte) come il quarto rapporto Ipcc si differenzi dal precedente nel suo considerare non più come “molto probabile”, ma come “sicuro” (unequivocal) un riscaldamento del sistema terrestre rispetto all’inizio convenzionale dell’era industriale moderna (1850), che viene preso anche come inizio delle misurazioni attendibili. In particolare, e riferendoci al XX secolo, si può notare come, mentre nel terzo rapporto la crescita delle temperature era stimata di 0,6 ± 0,2° nel periodo 1901-2000, il quarto rapporto aggiorna questo dato al rialzo: nel periodo 1906-2005 la crescita delle temperature stimata va da 0,56 a 0,92° Celsius, con il valore più probabile che si attesta su una crescita di 0,74°. Valore che è appunto nettamente più alto (considerando l’impatto enorme che possono avere a livello globale variazioni di temperatura apparentemente minime, cioè nell’ordine dei decimi di grado) di quanto calcolato in precedenza, al di là della lieve diversità negli intervalli di tempo considerati.
Maggiore attenzione va posta su quanto avvenuto nella seconda parte del periodo di cento anni che viene preso in considerazione, in cui il trend di crescita della temperatura (0,10-0,16° per decade dal 1956 al 2005) è «quasi il doppio di quello che si è avuto nei cento anni dal 1906 al 2005». Si evidenzia quindi una netta accelerazione del riscaldamento nella seconda parte del XX secolo. Spostandoci verso il presente, le cose peggiorano: «undici degli ultimi dodici anni (1995-2006) si collocano tra i dodici anni più caldi nel rilevamento strumentale delle temperature superficiali globali dal 1850».
Che conseguenze hanno avuto queste variazioni al rialzo delle temperature? Alcuni effetti sono individuabili con certezza, altri con forte probabilità, altri ancora sono invece in buona parte oscuri. Per esempio, è certo che alla crescita delle temperature ha corrisposto un incremento del livello degli oceani: il livello medio globale dei mari, si legge, è «cresciuto a un ritmo medio di 1,8 ± 0,5 mm/anno nel periodo dal 1961 al 2003, e ad un ritmo medio di circa 3,1 ± 0,7 mm/anno dal 1993 al 2003». Viene comunque chiarito che il motivo della crescita di livello avvenuta negli ultimi anni è di dubbia attribuzione: non si sa, cioè, se essa «rifletta una variazione decennale o un aumento nel trend a lungo termine». Problema, questo della limitata estensione delle serie storiche a noi disponibili, che vedremo permeare gran parte delle analisi climatologiche contenute nel quarto rapporto. E’ stato comunque stimato che questa crescita dei mari sia da attribuirsi per il 57% alla loro espansione termica (cioè all’aumento di volume associato al riscaldamento), per il 28% allo scioglimento dei ghiacciai non polari, e per il restante 15% allo scioglimento delle calotte, in particolare di quella artica.
Altro effetto, tra quelli osservati del riscaldamento (e che a loro volta sono stati utilizzati come indici per la migliore comprensione del riscaldamento stesso – vedi figura), è la diminuizione della copertura glacio-nevosa media: i dati satellitari (disponibili solo dal 1978) «mostrano che l’estensione media annuale della banchisa artica è diminuita del 2,7% (dal 2,1 al 3,3%) per decade, con maggiori diminuzioni in estate del 7,4% (dal 5,0 al 9,8%) per decade». I ghiacciai montani e la copertura nevosa «sono diminuiti in entrambi gli emisferi», anche se – come poi vedremo – gli effetti del riscaldamento nell’emisfero australe sono ben diversi rispetto a ciò che avviene in quello boreale, e in Antartide i dati riguardanti la dinamica della copertura nivo-glaciale lasciano maggiori dubbi e spazi di interpretazione.
Riguardo, infine, ai regimi delle precipitazioni, il quarto rapporto evidenzia come nel periodo 1900-2005 esse siano «aumentate significativamente nelle zone orientali del Nord- e del Sudamerica, in nord Europa e nel nord e nel centro dell’Asia», mentre sono diminuite «nel Sahel, nel Mediterraneo, in Africa del sud e in parti dell’Asia meridionale». Globalmente, «le aree affette da siccità sono probabilmente (likely, cioè con probabilità maggiore del 66%) aumentate dal 1970». Vedremo nei prossimi giorni le motivazioni che si nascondono dietro questo cambiamento nei regimi precipitativi, e quale sia l’effetto del surriscaldamento sugli eventi di maggiore intensità, come gli uragani.
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