Sfida verde alla Casa Bianca
Se Bush è stato il presidente del petrolio, Obama vuole essere quello dell'ambiente. E stanzia per il settore 150 miliardi di dollari da investire in dieci anni
Un New Deal verde; 150 miliardi di dollari di investimenti in dieci anni; cinque milioni di posti di lavoro... Chi non lo ricorda? Erano le promesse pre-elettorali di Barack Obama, e molti le consideravano solo un libro dei sogni. Ma, poche settimane dopo le elezioni, lo staff del presidente eletto rilancia il messaggio ambientalista, precisando le ricette per trasformare gli Stati Uniti in una 'Low-Carbon Economy', un'economia a basse emissioni di carbonio. Si tratta dello stesso slogan adottato dalle Nazioni Unite, e questo conferma la radicalità del clan Obama sul tema ecologico. A rilanciare la strategia ambientale della nuova Casa Bianca è il Center for American Progress, un think tank democratico guidato da due personaggi chiave dell'entourage del nuovo presidente: John Podesta, il capo del team che nelle ultime settimane ha selezionato le nomine per la nuova amministrazione, e Melody Barnes, che è appena stata nominata alla testa del Consiglio per la politica interna della futura amministrazione.
Improvvisamente l'ambiente è in prima fila nella politica americana. Nel mezzo della più grande crisi economica dal 1929, la luce in fondo al tunnel è la nuova economia verde promessa da Obama. E dopo otto anni di Bush si stenta a crederlo. Dall'inizio del 2001 a oggi, in nome del libero mercato, la Casa Bianca ha cancellato la parola ecologia dalla politica federale, ha più volte spinto i funzionari del ministero dell'Ambiente a censurare i dati negativi che emergevano dalle ricerche pubbliche e ha posto il veto su un lungo elenco di iniziative degli Stati, per esempio quella per aumentare gli standard sulle emissioni delle automobili votata dalla California di Arnold Schwarzenegger. Ma con l'elezione di Obama l'aria è cambiata nella capitale. E la crisi dei tre colossi dell'auto di Detroit è il primo banco di prova della sua politica. I tre presidenti , Rick Wagoner della General Motors, Robert Nardelli della Chrysler e Alan Mulally della Ford, si sono presentati a Washington con il cappello in mano per convincere il Congresso che la strada del risanamento è già stata imboccata e il miraggio dell'auto del XXI secolo, pulita e a basso consumo, è dietro l'angolo. In ballo ci sono 250 miliardi di dollari di finanziamenti, un'immensa iniezione di denaro pubblico per trasformare i tre dinosauri di Detroit in aziende verdi, salvandole dalla bancarotta.
Fiutando i venti del cambiamento, i capi delle tre grandi mettono l'accento sulla svolta verde delle loro aziende. Rick Wagoner sostiene che l'anno della svolta sarà il 2010, quando dalle linee produttive della General Motors uscirà la Chevrolet Volt: "Non una macchina, ma una visione del futuro", recita il marketing aziendale. La Volt è descritta come una vettura ibrida di nuova generazione, con un'autonomia elettrica di 65 chilometri, che salgono a mille usando il motore a benzina per ricaricare la batteria esaurita. I critici dicono che il suo prezzo di listino, 40 mila dollari, è eccessivo per conquistare il mercato di massa. Ma gli ottimisti sostengono che gli investimenti pubblici nella ricerca consentiranno ai prezzi di scendere rapidamente. Anche la Ford ha annunciato una nuova linea di motori, battezzati Ecoboost, che consentiranno risparmi di carburante del 20 per cento ed entreranno in produzione tra un anno. Ma per accelerare questa riconversione all'economia verde l'industria Usa ha bisogno dei soldi di Obama. "Le tecnologie critiche sono già state inventate", dice David Cole, uno dei più ascoltati analisti di Detroit: "La prima è la batteria al litio, che consente la produzione commerciale di auto elettriche ibride. La seconda è costituita dai biocarburanti alla cellulosa. Siamo alle soglie di una svolta tecnologica che può far decollare un nuovo modello di sviluppo".
Il New Deal ambientale del presidente eletto prevede precisi obiettivi da raggiungere nei prossimi 10-15 anni: entro il 2015 produrre un milione di auto elettriche-ibride, in grado di fare 50 chilometri con un litro; entro il 2012 portare al 10 per cento (e al 25 per cento nel 2025) la quota di energia elettrica prodotta con tecnologie pulite; entro il 2018 azzerare le importazioni di petrolio dal Medio Oriente e dal Venezuela, grazie a una strategia che combina risparmio energetico e crescita delle fonti rinnovabili.
Podesta sostiene che la sfida ambientale sarà al centro della politica della nuova amministrazione e propone che il presidente crei un nuovo National Energy Council alla Casa Bianca per guidare la rivoluzione energetica. Bracken Hendricks, uno dei ricercatori che hanno elaborato il progetto ambientale del Center for American Progress, spiega: "Abbiamo messo a punto un piano da 50 miliardi di dollari da lanciare subito per la creazione di due milioni di posti di lavoro verdi a vari livelli di specializzazione: dai lavori manuali a quelli high tech". Ma il progetto più ampio, diviso in cinque capitoli, prevede strategie di lunga scadenza.
Il primo capitolo collega il salvataggio delle società automobilistiche a un patto con il governo: in cambio del denaro pubblico i big di Detroit devono impegnarsi ad aumentare del 4 per cento all'anno l'efficienza energetica delle auto prodotte e assicurare grandi investimenti per sviluppare batterie di nuova generazione. Il secondo capitolo annuncia crediti fiscali ai produttori di energia rinnovabile e di tecnologie per il risparmio (per esempio pannelli per l'isolamento termico degli edifici): "Ma per far decollare il settore è necessario che l'amministrazione pubblica garantisca un mercato per i nuovi impianti energetici anche se il prezzo del petrolio crollasse", precisa Hendricks.
Il terzo capitolo propone la creazione di un fondo per aumentare l'efficienza energetica degli edifici pubblici e garantire sconti fiscali ai privati che investono per limitare gli sprechi. Il quarto capitolo riguarda un investimento di 400 miliardi di dollari in dieci anni per costruire una nuova 'rete elettrica intelligente', in grado di utilizzare l'energia elettrica nell'arco della giornata con la massima efficienza: per esempio, segnalando automaticamente ai consumatori le ore di calo dei consumi per far partire gli elettrodomestici.
Il quinto capitolo prevede un investimento di 20-30 miliardi di dollari in metropolitane e autobus a energia pulita, già approvati dal Congresso ma mai finanziati dal governo, e un piano per la costruzione di linee ferroviarie per il trasporto di merci.
Il Center for American Progress descrive nel dettaglio le cifre da investire nei singoli stati, i settori su cui puntare, le tipologie di lavoro prodotte. Investendo 12,7 miliardi di dollari in California, per esempio, si produrrebbero 235 mila nuovi posti di lavoro, riducendo la disoccupazione dal 7 al 5,7 per cento. Cento miliardi di dollari impiegati in tecnologie verdi, assicura Podesta, garantiranno due milioni di posti di lavoro. La stessa somma spesa dall'industria petrolifera ne genera mezzo milione.
E poi ci sono le tecnologie per il risparmio: "Il piano energetico di Obama prevede 25 nuovi standard che, se adottati, consentiranno un risparmio pari alla produzione di 57 grandi centrali energetiche", dice Andrew Delaski, direttore esecutivo dell'Appliance Standards Awareness Project, un gruppo ambientalista vicino alla nuova amministrazione. Per esempio, in primavera il Dipartimento dell'Energia dovrà approvare i nuovi standard per aumentare l'efficienza dei normali tubi al neon usati negli uffici di tutto il paese: "Se l'amministrazione deciderà di adottare parametri molto rigidi, si potrebbe ridurre la produzione di anidride carbonica di 950 milioni di tonnellate l'anno", dice.
La carne al fuoco è parecchia e molti, dopo otto anni di immobilismo, non esitano a prevedere un'imminente rivoluzione ambientale: "Vi consiglio di godervi le ferie natalizie", ha detto a un gruppo di esperti Jason Grumet, candidato alla poltrona di ministro per l'Energia di Obama: "Ci aspetta un 2009 molto intenso".
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