Il problema del mix energetico nel Rapporto Italia 2009
Per l'Eurispes gli italiani dicono ancora no alla scelta nucleare
“Il sistema Italia non può più attendere oltre e questa consapevolezza è diffusa nell’opinione pubblica, a prescindere dall’orientamento politico degli italiani – spiega alla presentazione del Rapporto il presidente dell’istituto, Gian Maria Fara – Invece si continua ad assistere a una ridda di proposte, slogan, programmi che vengono puntualmente smentiti il giorno dopo”.
Il parere di Fara è che, se il governo non ci tiene a bruciare il consenso che ora può vantare, “dovrà rapidamente produrre le risposte attese, affrontando le grandi questioni sul tappeto”.
Tra tutti i temi trattati noi ci occupiamo del problema del mix energetico per il futuro. Su questo sia Scajola, come Berlusconi (e perfino la Prestigiacomo) hanno sbandierato il nucleare come una necessità insopprimibile per la politica energetica italiana. Posizione dettata anche dalla convinzione che, passata la paura di Chernobyl e dimenticato il “no” dello specifico referendum, ora gli italiani siano cambiati e sarebbero, a loro dire, favorevoli al nuovo nucleare. Il rapporto dell’Eurispes ci dice che le cose stanno in maniera diversa.
Infatti, recita il rapporto, “gli italiani bocciano il ricorso al nucleare come fonte di energia”. Contro sono il 45,7% dei cittadini, (le motivazioni sono differenti) a favore solo il 38,3%.
E’ quasi un 8% di scarto, una percentuale significativa che dovrebbe far riflettere i nostri politici.
Secondo il rapporto, negli italiani invece regna ancora ‘l’ansia’‘ di una catastrofe come quella di Chernobyl. Ma i motivi del no sono essenzialmente due: la paura dei rischi (27,3%) e il fatto di non ritenerlo una soluzione rapida per i problemi dell’energia (18,4%).
I favorevoli, se si va a vedere, non sono poi così favorevoli. Nel senso che si dividono tra chi ritiene il nucleare una buona soluzione (30,1%) e chi dice “sì, ma non a casa mia” (8,2%). E a sostenere questa tesi sono in particolare gli italiani del nord-ovest (49,5%), quelli del sud (47,9%), del centro (47,2%), e del nord-est (45,7%). Dove allora andrebbero installate le centrali nucleari? Nelle isole? In mezzo al mare?
E’ quasi così. Infatti tra quelli più favorevoli spiccano gli abitanti delle isole (50%).
Tenendo invece conto delle convinzioni politiche, il 71,5% di chi si dichiara di sinistra (_anche se ormai “sinistra” è un concetto ormai troppo disomogeneo e molto diversificato per definirlo come categoria n.d.r._) è contro al nucleare, una percentuale che invece scende al 55,6% se parliamo di centrosinistra, e non arriva alla metà al centro circa il 41%. Mentre nel centrodestra il 65,9% è favorevole (e a destra il 55,4%).
Inoltre il rapporto delinea uno scenario non certo in linea con i “desiderata” del governo.
Infatti per realizzare le centrali nucleari vengono stimati, “al netto di problemi e di accettazione sociale’‘, non meno di 10 anni e un budget, per ora non definitivo, di almeno 30 miliardi di euro. Tutto questo non eviterà la dipendenza dal petrolio, ma solo un risparmio valutabile nella misura del 4,5% (_lo stesso che molti sostengono potersi ottenere con le fonti rinnovabili_).
L’Eurispes nel suo Rapporto Italia 2009 ricorda da una parte la volontà “dell’attuale governo” di soddisfare con il nucleare il 25% del fabbisogno energetico del Paese entro il 2020-2030. Dall’altra ricorda che, non raggiungere i target previsti dal protocollo di Kyoto sulle emissioni, ci costerà, secondo i calcoli Eurispes, “un debito giornaliero di 4 milioni di euro, un esborso di 1,5 miliardi di euro”.
Ma, se la produzione nazionale tocca l’85,1% (il 14,9% è nucleare importato dalla Francia), in quanto a potenza installata non servirebbe rivolgersi a nessuno: “La potenza installata è di 89.800 MW a fronte di una domanda di picco di 55.600 MW, per una sovrapotenza di 34.000 MW”. Il punto, fa notare l’Eurispes, “non è la carenza di centrali” ma che “l’utilizzo degli impianti sia inferiore al 50%”. E quindi uno nucleare che produca il 25% del fabbisogno energetico, osserva tra l’altro l’Istituto di ricerca, sarebbe “in contrasto con le direttive Ue” per gli obiettivi sulle fonti rinnovabili
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