Il clima di Copenaghen
ROMA. L’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc), il gruppo di scienziati chiamato dalle Nazioni Unite a seguire l’evoluzione del clima del pianeta Terra, aveva in parte torto, nel 2007, quando ha redatto il suo quarto Assessment Report. Ma non perché – come sostengono gli studiosi e i politici che, in numero sempre minore, si dicono scettici rispetto all’impronta umana sui cambiamenti del clima – ha ceduto alla pressione degli ambientalisti e ha forzato la scienza esagerando sia il tenore dei cambiamenti climatici sia il ruolo dell’uomo. Al contrario, ha (parzialmente) torto perché ha sottostimato gli uni e gli altri.
La situazione climatica è peggiore rispetto a ogni previsione e il ruolo dell’uomo è maggiore rispetto al previsto.
A ben vedere è questo il succo della sessione scientifica del Copenaghen Climate Congress che si è tenuto nella capitale danese dal 10 al 12 marzo scorsi, organizzato da 11 diversi università. Alla sessione scientifica hanno partecipato ricercatori esperti di tutto il mondo senza, per così dire, vincoli di mandato. Ovvero senza alcuna esigenza di calibrare le loro affermazioni per opportunità politica, ma liberi di confrontarsi solo e unicamente sulla base delle conoscenze scientifiche acquisite.
Ebbene la discussione non si è limitata a prendere atto con preoccupazione che tutti i peggiori scenari previsti dal rapporto dell’Ipcc si stanno verificando. Ma ha anche messo in luce aspetti dei cambiamenti climatici non propriamente desiderabili che non sono stati previsti dall’Intergovernmental Panel on Climate Change.
Ad ascoltare gli scienziati convenuti a Copenaghen, i punti critici negativi che non sono presenti nel Fourth Assessment Report sono almeno tre.
Il primo riguarda la diminuzione dei ghiacci, che risulta superiore a quella descritta dal rapporto. L’IPCC non ha tenuto conto, infatti, dei movimenti dei ghiacciai, su cui oggi abbiamo molti più dati rispetto a due o tre anni fa. Per esempio, documenti alla mano, l’americano Konrad Steffen, del Cooperative Institute for Research in Environmental Sciences di Boulder, in Colorado, ha dimostrato che l’erosione dei ghiacci in Groenlandia è molto più veloce del previsto. È vero, come ha sostenuto, l’inglese Jonathan Bamber della University of Bristol, che i ghiacci di Groenlandia si scioglieranno tutti solo se la temperatura aumenterà di almeno 6 °C (scenario estremo), ma è anche vero che una perdita del 15% dei ghiacci della Groenlandia 8scenario molto plausibile) si tradurrebbe in un aumento di un metro del livello dei mari.
Il secondo riguarda la variazione della massa di ghiaccio in Antartide, su cui l’Ipcc non si era pronunciata in quanto non c’erano dati univoci. Ebbene Eric Rignot, della University of California, ha mostrato i nuovi dati da satellite e da rivelatori basati a terra, da cui si rileva «molto chiaramente» che la massa ghiacciata nel continente antartico sta diminuendo.
Un terzo aspetto riguarda il carbonio sequestrato, il 30% sotto forma di metano, nel permafrost. Oggi sappiamo che lo stock ammonta ad almeno 1.700 miliardi di tonnellate: il doppio rispetto alle valutazione dell’Ipcc. E che lo scioglimento parziale del permafrost potrebbe liberare una quantità di carbonio dello stesso ordine di grandezza di quello che potremmo risparmiare abbattendo le emissioni antropiche.
Nell’insieme queste tre critiche – o meglio, questi tre avanzamenti delle conoscenze sulla stato del pianeta – consigliano, come hanno detto gli scienziati a Copenaghen, di agire: con la massima urgenza possibile. A partire proprio dalla città danese, dove a fine anno si riuniranno i rappresentanti di tutti i paesi della Terra per verificare la volontà di andare oltre il Protocollo di Kyoto.
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