Una bistecca minaccia sicurezza alimentare: Assocarni non ci sta
Roma, 16 apr (Velino) - Sicurezza alimentare? Un interrogativo sempre più attuale in un’economia mondiale dilaniata, come il ministro Tremonti ha più volte precisato, “da una globalizzazione che ha bruciato le tappe”. E se l’agricoltura torna a essere il tema centrale delle politiche dei paesi più sviluppati, quello della sicurezza alimentare diviene un problema sempre più incombente. Soprattutto dopo che le riserve degli stock alimentari di cereali si sono ridotte in maniera drastica con una inevitabile altalena dei prezzi delle materie prime. E se si discute a livello mondiale sulla convenienza di destinare i campi al “combustibile” o al “commestibile”, in vista dei prossimi vertici mondiali agricoli - il G14 e il G8 agricolo - risulta sempre più evidente, come la Confederazione italiana agricoltori sottolinea, “raddoppiare da qui al 2050 la produzione di riso e cereali”. Ma garantire sicurezza alimentare mondiale non significa necessariamente rinunciare alle bioenergie, quanto piuttosto evitare “sprechi”. Sprechi che potrebbero significare molti piatti in più sulle tavole e che provengono proprio dallo stesso settore primario dell’agricoltura e della zootecnia. Secondo alcuni studi sarebbe infatti la produzione di carne a minare la possibilità per tutti di avere qualcosa da mettere sotto i denti. E non solo, gli allevamenti di bestiame sarebbero i responsabili anche di una parte considerevole dell’effetto serra. Praticamente, detto in parole povere, mangiare una bistecca non solo toglie cibo agli affamati, ma danneggia anche l’ambiente.
“Abolire la carne è sicuramente un’utopia, ma già diminuirne il consumo e di conseguenza la produzione significherebbe un notevole passo avanti per la lotta contro la fame nel mondo”, dichiara al VELINO Marina Berati, portavoce del Centro internazionale di ecologia della nutrizione, Neic. A sostenere la tesi che la produzione di carne rientra tra i maggiori responsabili della “incertezza alimentare”, era già stata la rivista scientifica Environmental Science and Technology che il 16 aprile del 2008 aveva pubblicato uno studio – di alcuni ricercatori della Carnegie Mellon University – che individuava tre fattori determinanti per il consumo sostenibile: il cibo, l’energia usata in casa e i trasporti. Ma quello che risulta dallo studio avere maggiore impatto sull’ambiente è proprio il fattore cibo a causa degli aspetti legati alla quantità, all’applicabilità e al potere decisionale di ciascun consumatore. Ed ecco che si arriva alla produzione di carne. “La verità - secondo Berati - è che gli animali di allevamento consumano molte più calorie ricavate dai mangimi vegetali, di quante ne producano sottoforma di carne, latte e uova”. Questo, se si ragiona in numeri, “vuol dire che per ogni chilo di carne che si ricava da un animale lo stesso animale deve mangiare in media un totale di 15 chili di vegetali”. Da una tabella che il Neic riporta da Le Fabbriche degli Animali di Enrico Moriconi, emerge che se per un chilo di carne di vitello – esclusi gli scarti di macellazione – occorrono 18 chili di vegetali, per un chilo di carne di agnello occorrono addirittura 33 chili di vegetali. Vegetali “che potrebbero essere destinati direttamente a chi ne ha bisogno”, incalza Berati. D’altronde cose anticipate già molti anni fa da Jeremy Rifkin nel suo Ecocidio.
"Senza contare lo spreco di acqua”, prosegue il portavoce del Neic. Da uno studio condotto nel 2003 da David Pimentel, specialista in risorse idriche alla Cornell University, Ithaca, New York, pubblicato su “Water Resources: Agriculture, the Environment, and Society”, emerge che per produrre un chilogrammo di carne bovina occorrono 100 mila litri di acqua. Contro i 550 litri necessari per un chilo di patate, i 900 per un chilo di frumento, i 1400 litri per il mais e i 1910 litri per un chilo di riso. Da qui la preoccupazione crescente dell’Oms e della Fao per l’impatto dell’allevamento industriale sull’utilizzo delle terre coltivabili. “Si stanno raccogliendo le firme per una petizione internazionale per chiedere di prendere in considerazione il fatto che un’alimentazione basata sui vegetali può essere utile per combattere la fame nel mondo”, prosegue Berati. “Petizione che a ottobre sarà presentata all’Onu e alla Fao”. Fonti della Fao risalenti al 2002 parlano chiaro: “il numero di persone nutrite in un anno per ettaro varia da 22 per le patate, a 19 per il riso e solo a una o due persone per il manzo e l’agnello”.
E non finisce qui. Dal dossier Fao “Livestock long shadow” pubblicato già nel 2002 emerge che il settore zootecnico è la causa del 18 per cento delle emissioni di gas serra. Quasi pari a quelle causate dall’industria e maggiori di quelle causate dai trasporti (13 per cento). E se Giuseppe Rotilio, professore di Biochimica e scienze dell’alimentazione all’Università di Roma 2 spiega al VELINO che “l’uomo nasce carnivoro e mangia cereali ‘solo’ da 8 mila anni e che la carne comporta una serie di nutrienti essenziali come ferro e aminoacidi – che in forma vegetali non riescono a essere acquisiti dall’organismo umano in maniera completa – il portavoce del Neic risponde che “uno studio dell’Associazione dietisti americani, l’Ada, ha assodato che l’alimentazione vegetariana è non solo adeguata alle necessità umana, ma consente anche di prevenire alcune patologie. E incalza: “Non esistono aminoacidi essenziali che non si trovino nei vegetali”.
Ma le cose non stanno proprio così per il vicepresidente di Assocarni Luigi Scordamaglia. “È una falsità”, spiega al VELINO. “I bovini sono ruminanti e come tali non si nutrono di cereali ma di cellulosa che certo non è destinata agli uomini”. Tranne in alcuni paesi dove la loro alimentazione viene integrata, solo nell’ultimo periodo, con i cereali per dare più consistenza alla carne. Ha una risposta per tutto il vicepresidente di Assocarni: In relazione a dispendio di acqua a causa della produzione di carne, Scordamaglia precisa che “i bovini si nutrono nei pascoli che certo non vengono innaffiati”. Il problema, secondo il vicepresidente di Assocarni, è che “il grasso Occidente - per il suo interesse - sta chiedendo ai paesi in via di sviluppo come India, Cina e Africa di rinunciare alle proteine animali. Paesi che si trovano oggi nella fase in cui si trovava l’Italia 50 anni fa, “quando si cominciò a mangiare carne con il conseguente aumento di statura degli italiani, tanto per dirne una”. E riguardo l’effetto serra al quale – secondo lo studio Fao – gli allevamenti industriali di bovini contribuirebbero per il 18 per cento? Scordamaglia non ha dubbi: “Nessuno dice però che i bovini riassorbono Co2. Sono valutazioni di parte, sono false verità. Si tratta di informazioni volutamente trascurate che mettono in evidenza una malafede. Ma il vicepresidente di Federcarni va oltre e avanza un dubbio: “Sembra quasi che sia un tentativo di mistificare la realtà dei fatti con l’intento di spostare l’attenzione dall’inquinamento derivante dai trasporti a quello proveniente dall’agricoltura”.
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