G8 Ambiente: bilancio finale
Il G8 di Siracusa si è chiuso senza decisioni concrete, come del resto era in qualche modo già previsto, trattandosi di un incontro intermedio, di avvicinamento al G8 di luglio, in Abruzzo, e alla quindicesima Conferenza delle Nazioni Unite sul Clima prevista a novembre prossimo a Copenaghen.
La partecipazione di Paesi non integrati nel G8 ha comunque garantita la possibilità di una discussione molto ampia, di intravedere possibilità nuove e di lavorare su esperienze concrete che questi Paesi stanno portato avanti. Dai Paesi emergenti vengono infatti segnali di una inversione di tendenza nell’approccio ai cambiamenti climatici e alle scelte energetiche decisamente importanti.
Il Brasile, secondo quanto dichiarato dal Ministro dell’Ambiente, Carlos Minc, in agosto verrà approvato un provvedimento legislativo che prevede che il 10% dei proventi del mercato del petrolio siano destinati a favore di un Fondo sul clima già istituito; a ciò si aggiunge un progetto per ridurre la deforestazione dell’Amazzonia del 70%, entro il 2017, riducendo così la produzione di CO2 di 4,5 miliardi di tonnellate. Certamente un modello interessante e da studiare.
Dai dati della Banca mondiale, poi, emerge in maniera evidente che i Paesi in via di sviluppo non stanno più a guardare e non attendono segnali dalla vecchia Europa, consapevoli del significato e dell’urgenza di intervenire sulla questione climatica; per esempio, le misure a sostegno della green economy sono pari all’81% degli investimenti pubblici in Corea del Sud, al 38% in Cina. Il gigante asiatico inoltre punta a un miglioramento netto dell’efficienza energetica pari al 20% entro il 2010 e sta crescendo molto in tutte le rinnovabili. Percentuali rispetto alle quali sia la posizione dell’Europa , sia, a maggior ragione, quella dell’Italia, diventano poco esaltanti. Diventa difficile parlare di un’Europa modello per il resto del mondo nella lotta ai cambiamenti climatici.
La cattura e il sequestro della CO2 rimane per i Paesi occidentali, così come per le economie emergenti, la strada maestra; proprio in questo senso si è messa in evidenza la necessità di condividere le tecnologie oggi disponibili a questo scopo con i Paesi a più alta produzione di carbonio. Fondamentali quindi nuove formule di cooperazione che mettano al centro i risultati della ricerca e dell’innovazione tecnologica che non preveda solo un trasferimento tecnologico, ma un’elaborazione innovativa della conoscenza.
Il lancio del International Research Network for Low Carbon Societies va esattamente in questa direzione.
Dalle imprese internazionali coinvolte, a questo proposito, è giunta la segnalazione della necessità di individuare un quadro normativo, a lungo termine, sovranazionale che crei un ambiente propizi per gli investimenti ingenti necessari in questi settori.
La Carta di Siracusa sulla Biodiversità resta come fiore all’occhiello dell’incontro. Il messaggio lanciato è chiaro: investire nella biodiversità oggi impedirà costi futuri per il ripristino degli ecosistemi; conservare la biodiversità aiuta a combattere la povertà, migliorare il benessere delle società e contribuisce in maniera significativa all’adattamento e al cambiamento climatico, riducendo i rischi dell’instabilità dei mercati e fornendo nuove opportunità di investimento.
Per questo è necessario giungere a riconoscere in maniera scientifica i fattori diretti e indiretti della perdita di biodiversità, per aumentare la capacità di resilienza degli ecosistemi, considerando quanto questi siano rilevanti nella mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici. Entro il 2010, anno della biodiversità, dovranno essere individuate strategie comuni e definiti nuovi meccanismi finanziari per implementare le politiche di protezione della biodiversità.
Oggi a Washington il Mef (Major Economies Forum): in questa sede probabilmente si definirà meglio la posizione degli USA e assumeranno maggiore concretezza le dichiarazioni di Lisa Jackson (vedi precedenti articoli) durante il G8 siracusano.
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