Negazionisti che sapevano di mentire
La Global Climate Coalition, finanziata dai grandi delle fonti fossili, durante gli anni '90 ha strenuamente negato l'urgenza di agire contro il global warming. Ma agiva in malafede, come rivela un documento pubblicato dal New York Times. Ora è sciolta, ma ha comunque raggiunto il suo scopo. Mentre il negazionismo continua.
Per più di un decennio ha agito al soldo dell’energia sporca per seminare dubbi sul riscaldamento globale e negare che fosse urgente ridurre le emissioni. Ora c’è una nuova prova che la Global Climate Coalition (GCC), l’organizzazione negazionista più attiva negli anni novanta, agiva anche in malafede. A rivelarlo un documento interno emerso in un processo e reso pubblico dal New York Times: gli stessi scienziati che lavoravano per la GCC, in un memo riservato del gennaio '96, avvertivano infatti i dirigenti che certe evidenze che il global warming fosse dovuto a cause antropogeniche erano difficilmente contestabili. “Le basi scientifiche dell’effetto serra e il potenziale impatto delle emissioni umane di gas serra come la CO2 sono ben documentate e non possono essere negate” - scrivevano gli esperti nel documento (acquisito nella disputa legale in corso sulle emissioni auto tra l’associazione dei produttori , ex-membro GCC, e lo Stato della California) e aggiungevano che le teorie contrarie “non offrono argomenti convincenti contro il modello convenzionale di effetto serra indotto dalle emissioni”.
La Global Climate Coalition avrebbe dunque ignorato coscientemente l’opinione dei suoi stessi esperti continuando a sostenere la sua posizione ufficiale degli anni ‘90 secondo la quale “il ruolo dei gas serra nei cambiamenti climatici non è ben compreso”, e ammettendo pubblicamente solo nel ’98 quello che i suoi climatologi avevano sottolineato nel documento di 3 anni prima. Senza peraltro accennare all’infondatezza delle teorie contrarie alla natura antropogenica del global warming e parlando dell’aumento delle emissioni come una minaccia solamente “potenziale”.
Una notizia, quella della malafede della Global Climate Coalition, che potremmo definire una "non notizia", ma solo l’ennesima conferma di come il dibattito pubblico sull’effetto serra sia stato coscientemente e costantamente "disturbato" dai poteri economici. A finanziare la GCC nel corso della sua attività almeno 75 grandi industrie legate in qualche modo ai combustibili fossili, tra cui: Exxon Mobil, Shell, BP, Dupont, Chrysler, Chevron, General Motors e Good Year. Solo per la campagna (dis)informativa coincidente con la negoziazione del protocollo di Kyoto, la Coalition (secondo il Los Angeles Times) avrebbe speso oltre 13 milioni di dollari.
Con il passare del tempo e l’evidenza sempre maggiore dell’insostenibilità delle posizioni scientifiche sostenute, la GCC si è fatta più cauta ammettendo che il riscaldamento globale antropogenico esisteva, ma continuando a contestarne l’entità e a mettere in dubbio le misure da prendere per fermarlo. Nel frattempo però il problema era diventato sempre più sentito dall’opinione pubblica e molte industrie aderenti alla GCC, anche per una questione d’immagine, hanno preferito abbandonare l’associazione: tra le prime a farlo BP e Shell. Nel 2000 GCC cambiava politica consentendo l’adesione non più a singole aziende ma solo ad associazioni di categoria, nel 2002 infine la GCC si è sciolta annunciando di “aver adempito al suo ruolo contribuendo ad un nuovo approccio nazionale al global warming (cioè la legge sulla limitazione volontaria delle emissioni di cui si parlava con Bush jr, ndr)”.
La GCC è stata l’associazione di lobbying negazionista per antonomasia e quello che è emerso dalle carte portate alla luce dal New York Times, cioè che fosse conscia di sostenere posizioni scientificamente non giustificabili, era qualcosa che molti denunciavano da tempo. Ora ciò è ufficiale, come è ormai chiaro che non esiste una base scientifica per negare l’urgenza di ridurre le emissioni. Tuttavia quando la GCC, ormai sbugiardata pubblicamente, ammette di aver adempito al suo scopo, ha ragione. La strategia infatti non era tanto quella, irrealistica, di voler confutare le evidenze scientifiche sul global warming, quanto quella di seminare il dubbio nel dibattito pubblico facendo apparire controversa una questione che non lo era. Lo scopo che la Coalition si era probabilmente proposta e che ha ottenuto è quello di ritardare il più possibile misure di riduzione delle emissioni che potessero danneggiare i suoi sostenitori.
Ora quasi tutti gli ex-membri della GCC ammettono pubblicamente la necessità di agire in fretta contro il riscaldamento globale, ma questo – come ci ricordano purtroppo anche le posizioni del nostro Governo – non significa che il negazionismo sia morto, né che le attività di lobbying in questo senso siano cessate. William O'Keefe, l’ex presidente della GCC, e dirigente dell’American Petroleum Insitute ora dirige un altro “organismo scientifico” per aiutare i politici a scegliere sulle questioni legate al cambiamento climatico, il Marshall Institute, finanziato tra gli altri da Exxon. In quanto alla nuova legge sulle emissioni in arrivo negli States, riporta Usa Today, utility e industrie legate all’energia avrebbero già aumentato del 30% la spesa in lobbying. Rassegnate al fatto che la legge si farà devono fare pressione affinché sia scritta in modo da recare loro il minor danno possibile.
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