Raffreddare la terra: la grande sfida della geoingegneria
Dai gas sparati nell'atmosfera agli specchi orbitanti, gli scienziati studiano progetti per ridurre la temperatura.
L'improvvisa eruzione del vulcano Pinatubo il 15 giugno del 1991 scaraventò in cielo un'enorme colonna di cenere, oscurò completamente la luce del Sole, sterminò centinaia di persone. E mostrò un possibile modo per salvarci da un potenziale disastro climatico. Venti milioni di tonnellate di anidride solforosa scagliate dal vulcano si alzarono dalle Filippine nella stratosfera, ricoprendo l'intero pianeta di una coltre che respinse verso lo spazio parte del calore del Sole. Negli anni successivi, i meteorologi constatarono stupiti che la coltre abbassava la temperatura terrestre di circa mezzo grado, in un certo senso riportando un po' indietro le lancette del riscaldamento globale.
Quell'effetto fu temporaneo: dopo circa un anno le temperature ripresero nuovamente a salire. Gli scienziati tuttavia incominciarono a chiedersi se l'eruzione non avesse rivelato una possibile arma contro il cambiamento del clima. Perché sarebbe possibile ottenere artificialmente ciò che il vulcano produsse naturalmente: un'emissione sapientemente dosata di anidride solforosa nell'alta atmosfera - ottenuta lanciando i gas con razzi oppure spruzzandola da aerei ad alta quota, o ancora rilasciandola da una sorta di alto fumaiolo - avrebbe un impatto pressoché immediato sulla temperatura. In aggiunta, costerebbe immensamente meno di qualsiasi altra misura finalizzata a una riduzione delle emissioni dei gas responsabili dell'effetto serra.
Un gruppo di scienziati si è messo allora a studiare se esista un modo di influire sul clima mimando l'effetto Pinatubo. Utilizzando l'anidride solforosa o altre sostanze i geoingegneri cercano di deviare parte della luce solare verso lo spazio esterno. Uno di questi sistemi prevede il lancio in orbita di una serie di specchi che potrebbero schermare la Terra dalla luce del Sole, ma con una spesa che verosimilmente manderebbe in bancarotta il pianeta intero. Negli anni Novanta il discusso inventore della bomba a idrogeno, Edward Teller, propose addirittura di lanciare nell'atmosfera particelle di metallo riflettenti e flottanti, conferendo un tocco da Dottor Stranamore al settore della geoingegneria.
Un altro sistema più plausibile si concentrerebbe sulla cattura di anidride carbonica dall'atmosfera e sul suo immagazzinamento sottoterra. Questa idea, nota oggi come cattura e sequestro dell'anidride carbonica (Ccs), è all'origine di moderni impianti sperimentali a energia pulita, che stanno attirando ricerche e finanziamenti. Ma gli impianti a carbone pulito ridurranno soltanto le emissioni future, senza influire sulla causa reale del problema. Perché una cosa ormai è chiara: l'allarmante lunga vita dell'anidride carbonica che continuerà a restare nell'aria per migliaia di anni, continuando a riscaldare il pianeta indipendentemente da quanto si ridurranno le emissioni. Per questo il sogno dei geoingegneri si nutre dell'urgenza di cambiare il clima artificialmente, aspirando tutta l'anidride carbonica o raffreddando l'aria con deflettori solari.
Ma tra le ipotesi degli esperti e quelle della politica non è sempre corso buon sangue: gli scienziati avevano liquidato come follie le soluzioni ingegneristiche, anche nel timore che sogni hi-tech potessero mettere in crisi i tentativi di convincere la gente a fare sacrifici per ridurre le emissioni. Inoltre, l'idea stessa di un cambiamento del clima deciso e attuato artificialmente spaventa l'opinione pubblica: se la scienza non riesce a fare nemmeno previsioni meteorologiche attendibili, come può riuscire a modificare il clima globale?
Adesso, tuttavia, molti scienziati stanno iniziando a prendere sul serio la geoingegneria, se non altro per disperazione. Nel momento in cui un numero crescente di climatologi sono arrivati alla conclusione che i livelli già raggiunti di inquinamento da anidride carbonica stanno riscaldando il pianeta più rapidamente di quanto si pensasse, diventa sempre più difficile opporre resistenza a un piano di emergenza per salvare la Terra. I premi Nobel Paul Crutzen e Thomas Schelling concordano appieno sulla necessità di mettere a punto un piano del genere. La British Royal Society sta cominciando a valutare le varie opzioni. L'Accademia nazionale delle scienze degli Stati Uniti ha convocato una conferenza nella quale si è parlato di ingegneria climatica. Michael Oppenheimer, climatologo di Princeton, ha commentato: "Non è ancora nelle agende politiche, ma ormai gli scienziati parlano di ingegneria climatica come di una opzione possibile".
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