Ebrei per la pace: «Trattare con Hamas»
Facendo nostre alcune delle considerazioni e raccomandazioni contenute nell'articolo di Henry Siegman - direttore del U.S./Middle East Project e docente della School of Oriental and African Studies dell'Università di Londra - apparso il 19/2/07 sull' International Herald Tribune e nell'editoriale di Haaretz del 5/2/07, nonché in un articolo di Uri Avnery del 17/2/07, ci rivolgiamo all'Unione europea e alle dirigenze dei vari Paesi che ne fanno parte, perché diano un proprio indipendente contributo all'inizio di serie trattative di pace tra Israele e l'Anp.
All'Unione europea, ai leader dei paesi europei.
Come individui e gruppi di ebrei impegnati per la pace tra israeliani e palestinesi riteniamo che: dopo la vittoria di Hamas alle elezioni dello scorso anno, il governo israeliano ha continuato a delegittimare ogni possibile interlocutore palestinese. Già l'Autorità palestinese era stata ignorata da Sharon nel ritiro da Gaza. Olmert ha boicottato e ottenuto il boicottaggio internazionale del governo Hamas uscito vincitore dalle elezioni e ha nel contempo delegittimato Abu Mazen. Oggi continua a farlo anche di fronte a un nuovo e importante sviluppo: il recente accordo per un governo palestinese di unità nazionale, cui si è pervenuti alla Mecca su iniziativa di re Abdullah, sembra aver raggiunto tre obiettivi:
1) fermare la guerra civile fra i palestinesi che, se fosse andata avanti, avrebbe portato a un bagno di sangue con esiti catastrofici e reso impossibile ancora per molti anni parlare di pace nell'area; 2) sganciare Hamas dall'influenza dell'Iran verso cui l'organizzazione si era rivolta in mancanza di alternative; 3) rompere il tabù dell'impossibilità di appoggiare un governo palestinese che includa Hamas, e indicare nel nuovo governo di unità nazionale un interlocutore possibile e legittimo.
Sembra perciò che ci siano adesso i presupposti perché con il sostegno dell'Arabia saudita - da cui gli Stati uniti dipendono non solo per il petrolio ma anche per la gestione dello scontro con l'Iran e per la situazione irachena -, l'Europa possa sganciarsi dalla subordinazione verso l'alleato americano nella questione del conflitto israelo-palestinese.
L'Unione europea dovrebbe quindi annunciare immediatamente la fine del boicottaggio e aprire un dialogo con il governo di unità nazionale per la ripresa delle trattative con Israele, nella consapevolezza che non si può perdere anche questa occasione di pace.
Sarebbe una ripetizione del tragico errore già commesso nel 2002, quando l'Arabia saudita propose la fine completa delle ostilità tra il mondo arabo e Israele e il riconoscimento dello Stato ebraico, da parte araba, a fronte del ritiro dai territori occupati.
Sono state poste finora tre condizioni per la fine del boicottaggio:
a) il riconoscimento da parte di Hamas dell'esistenza dello Stato d'Israele; b) la fine del terrorismo; c) il pieno riconoscimento degli accordi siglati dall'Olp.
Però questi tre punti sono assolutamente unilaterali poiché la radicalizzazione della società palestinese rappresentata dal voto ad Hamas ha tra le sue ragioni intrinseche la prosecuzione dell'occupazione israeliana dei territori palestinesi dal 1967, con tutto il dolore che porta con sé, e le afflizioni che i palestinesi sopportano.
Ora, l'Unione europea e i suoi leader hanno la facoltà di cambiare le condizioni preliminari per la fine del boicottaggio internazionale del nuovo governo palestinese di unità nazionale, mettendo così l'Autorità nazionale palestinese in grado di riprendere i negoziati. Dovrebbero cioè chiedere ad Hamas, come condizione preliminare per la fine del boicottaggio, di dichiarare la sua volontà di riconoscere Israele quando Israele dichiarerà il proprio riconoscimento dei diritti palestinesi all'interno dei confini precedenti il 1967, escludendo cambiamenti nei confini senza l'accordo palestinese, come stabiliscono le risoluzioni Onu: questa condizione, infatti, racchiude in sé anche la possibilità delle altre due. In mancanza di quest'atto dovuto, tutto il resto sembra solo un alibi per sostenere l'ingiusto status quo.
Vorremmo ricordare ai leader dei paesi europei che la base forte di una simile presa di posizione sta nelle stesse decisioni assunte dall'Unione europea nel marzo 2004, quando i presidenti dei paesi dell'Ue dichiararono all'unanimità l'intenzione di non ammettere nessuna deviazione dai confini del 1967 che non fosse il risultato di un accordo fra le due parti.
È il momento di agire in coerenza con questa decisione.
Barbara Agostini, Irene Albert, Paolo Amati, Dunia Astrologo, Marina Astrologo, Annalisa Bemporad, Andrea Billau, Lina Cabib, Giorgio Canarutto, Paola Canarutto, Ilan Cohen, Giuseppe Damascelli, Lucio Damascelli, Marina Del Monte, Ester Fano, Carla Forti, Giorgio Forti, Joan Haim, Jules Karpi, Dino Levi, Tamara Levi, Michele Luzzati, Patrizia Mancini, Miriam Marino, Marina Morpurgo, Ernesto Muggia, Carla Ortona, Sergio Ottolenghi, Valeria Ottolenghi, Moni Ovadia, Paola Sacerdoti, Renata Sarfati, Stefano Sarfati, Giorgio Segrè, Danco Singer, Sergio Sinigaglia, Stefania Sinigaglia, Susanna Sinigaglia, Jardena Tedeschi, Ornella Terracini, Marco Todeschini, Claudio Treves, Virginia Volterra
Le adesioni a: campodellapace@yahoo.it
|