Aila, il ciclone (e i morti) dimenticato del Bangladesh, frontiera del cambiamento climatico
Salvo qualche trafiletto, i giornali hanno praticamente ignorato il ciclone tropicale Aila, che ha colpito il sud-ovest del Bangladesh e il vicino Stato indiano del Bengala, eppure si tratta del più grave disastro naturale del Bangladesh dopo il ciclone Sidr che ha devastato le stesse coste il 15 novembre 2007, facendo migliaia di morti e dispersi. Secondo la televisione locale Atn Bangla, ieri il bilancio di 136 morti, 3 milioni e 900 mila persone costrette ad abbandonare le loro case e migliaia senza cibo ed acqua potabile. Fonti governative di Dacca danno oggi una cifra delle vittime che si avvicina inesorabilmente alle 200 ed almeno 6.400 feriti gravi nei 15 distretti costieri colpiti .
Secondo Saila Farzana, responsabile dell’Ufficio di controllo del ministero per l’alimentazione e i disastri del Bangladesh, «Inoltre, circa 31.995 ettari di colture sono stati completamente distrutti, mentre circa 101.169 ettari di colture sono state parzialmente danneggiate». Il problema che nessuno sa davvero cosa sia accaduto nelle basse isole del Delta del Gange.
Un primo bilancio del governo parla di almeno 7.500 capi di bestiame morti a causa dell’ondata provocata dal ciclone, di migliaia di case finite sott’acqua e di «un certo numero di dighe» gravemente danneggiate e di centinaia di migliaia di persone bloccate nell’intrico di isole dalle inondazioni. Il segretario del ministero delle catastrofi naturali, Mokhlesur Rahman, dopo aver visitato uno dei distretti più colpiti, quello di Khulna, ha detto che «L’operazione di salvataggio prosegue e che il personale dell’esercito è stato dispiegato per soccorrere le isole bloccate. La stima delle perdite è in corso e il governo prenderà le misure conseguenti».
Intanto il governo di Dacca ha distribuito 12,3 milioni di taka (circa 175.714 dollari) e 2.500 tonnellate di riso nella regione devastata dal ciclone, mentre continua la corsa contro il tempo di soldati, volontari e Ong per fornire gli aiuti di urgenza.
Una goccia nel mare della disperazione, in un disastro ormai diventato così esoticamente usuale da non far più notizia, da farci dimenticare che proprio in quell’area tra le più povere e densamente popolate del pianeta il cambiamento climatico è più alacremente al lavoro e che disegna nelle isole e nei miserevoli villaggi del Delta del Gange un futuro che ci riguarda, anche se qui, nel ricco Occidente, il global warming occupa i giornali quando la temperatura sale un po’ troppo e spuntano i bikini e viene considerato una bufala non appena nevica o piove un po’ di più e spuntano gli ombrelli. Chissà cosa ne penserebbero i quasi 4 milioni di bengalesi che hanno visto il mare mangiarsi le loro isole e le loro case…
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