Pacifica convivenza. L'Housing Executive, l'ente per la casa nord-irlandese, ha speso 2 milioni di
sterline per creare un quartiere dove le due comunità potessero deliberatamente
scegliere, alla stipula del contratto, di vivere in simbiosi. Lontano dai simboli
della divisione e del settarismo. Lontano dal passato di feroce opposizione che
ha contraddistinto gli anni bui dei Troubles, quando l'odio nutriva le giovani
generazioni, dall'una e dall'altra parte, e la violenza ne armava il braccio.
Uno dei fautori del progetto di Enniskillen è una donna. Si chiama Elma Newberry
ed è responsabile dell'Unità per la coesione tra le comunità dell'Housing Executive.
L'organismo, istituito due anni fa, si occupa di incoraggiare la convivenza tra
le comunità nell'ambito del processo di pace. "Abbiamo trasferito numerose famiglie
proprio a causa dei Troubles - ha raccontato Elma a PeaceReporter -. Oggi che
la violenza, ma non la diffidenza, è terminata, dobbiamo costruire le basi per
una pacifica convivenza".
Da dove partire per costruire il futuro?
Dai simboli della divisione: i murali paramilitari, le bandiere. Sono stati per
decenni l'iconografia dell'appartenenza, il marchio del territorio di comunità
profondamente polarizzate e segregate. Noi operiamo con le comunità affinché tali
rappresentazioni vengano rimosse.
Quali problemi avete trovato?
Specialmente nel campo lealista, molti temevano che cancellare tali emblemi di
separazione equivalesse a erodere la loro cultura e la loro storia. Noi cerchiamo
di convincerli a rappresentare la loro idendità in modo meno aggressivo, tramite
negoziati a livello locale. Lavoriamo inoltre in stretto accordo con altre organizzazioni,
come l'Arts Council, in progetti di ri-decorazione comunitaria, ovvero di realizzazione
di forme espressive che celebrino il presente, anziché il passato. Abbiamo investito
tre milioni di euro per un progetto di questo tipo, che si è rivelato un successo.
Cosa è successo a Enniskillen?
Enniskillen, o meglio, un suo quartiere che si chiama Carran Crescent, fa parte
di un progetto pilota di cui andiamo molto orgogliosi. Vede, la segregazione comunitaria
si esplica specialmente in aree di edilizia popolare. Al contrario, nel settore
privato si verifica una maggiore integrazione. Le faccio un esempio: negli anni
'70, durante i Troubles, sono state sfollate circa 60 mila, un enorme flusso di
persone trasferite per motivi di sicurezza. Ballymurphy e Springmartin erano due
quartieri misti. Oggi il primo è interamente cattolico, il secondo protestante.
Il 94 per cento delle case popolari in Irlanda del Nord sono caratterizzate dalla
segregazione, una percentuale che raggiunge il 97 per cento nell'area metropolitana
di Belfast. Il Good Friday Agreement, l'accordo di pace del '98, stabiliva che
la popolazione aveva il diritto di scegliere dove vivere, e di poterlo fare in
una maniera pacifica. Lo Housing Executive ha il compito di coordinare e agevolare
tale politica di 'vicinato condiviso' tra le comunità, fornendo la possibilità
alla gente di scegliere.
Quale approccio avete seguito?
Abbiamo commissionato una ricerca alla Queen's University di Belfast per stabilire
gli indicatori che fornissero una fotografia dell'area prescelta, che vi fosse
già una storia di buone relazioni tra i residenti, che vi fossero scarse o nulle
manifestazioni di settarismo, come le bandiere, che il quartiere fosse relativamente
piccolo, quindi gestibile. Abbiamo cercato il sostegno dei consiglieri di zona
e appurato che vi fossero scuole miste nelle vicinanze. Enniskillen si è rivelata
la zona ideale. Avevamo bisogno di un'area pilota per l'intera comunità dell'Irlanda
del Nord.
A Belfast non era possibile farlo?
A Belfast il 97 per cento delle case sono segregate. Quindi no, non era possibile.
Enniskillen aveva tutte le caratteristiche necessarie per funzionare. I richiedenti
hanno firmato una carta, un documento d'intenti, in cui si dichiara loro volontà
- e ribadisco che è una scelta volontaria, non imposta - ad accettare la differenza.
E accettare la differenza è il principio guida per vivere con la fazione storicamente
avversa. Adesso però bisogna aspettare che tale principio trovi la sua applicazione
nella realtà. Il quartiere è stato 'creato' a novembre. Tra 18 mesi, grazie a
un funzionario del progetto di 'shared future' (futuro condiviso, ndr) che si
occupa di accompagnare i residenti attraverso il processo di costruzione della
convivenza, sapremo se l'iniziativa è andata a buon fine. Ma io sono ottimista.
Ho incontrato tutte le 20 famiglie che vivono lì, e in tutti ho trovato buona
volontà e partecipazione. Non vi sono solo cattolici e protestanti, ma anche lituani,
rumeni o coppie miste.
Un'idea trasferibile anche ad altre aree della città?
E' quello che speriamo. Carran Crescent è circondata da 150 case di proprietà
dell'Housing Executive. Vogliamo estendere il progetto. Parallelamente a Carran
Crescent stiamo portando avanti una serie di consultazioni con i residenti di
queste case contigue all'area per includerli nel progetto di vicinato condiviso.
Perché i prezzi delle case nell'Irlanda del Nord sono aumentati del 40 per cento
dal 2005 al 2006?
Perché il processo di pace offre nuove prospettive e una nuova stabilità. Un
esempio molto calzante è quello di Ballynafeigh, unica comunità mista di Belfast
che ha resistito ai Troubles. Ciò è dovuto alle robuste infrastrutture comunitarie
di cui ha potuto disporre nel corso del tempo. Proprio a causa di questa ricchezza,
in quest'area i prezzi delle case sono saliti enormemente, ceti affluenti sono
subentrati e hanno costretto la classe popolare ad abbandonarla, obbligandola
a cercare altrove, anche nelle aree polarizzate, nuovi alloggi. Anche questo sta
diventando un problema, a Belfast.
Oltre alla discriminazione razziale...
Esatto. La comunità di stranieri, cinesi in primis, ma anche provenienti dall'Est
Europa e dall'Africa, conta ormai cinquemila membri. Nell'area a sud di Belfast
c'è stato un enorme aumento di crimini a sfondo razziale. La reazione automatica
delle comunità locali, nutrite da anni di violenze, è quella di chiudersi, di
difendersi dall'arrivo degli stranieri. Il nostro ruolo non è quindi solo quello
di sviluppare nuovi progetti e fornire nuove scelte, ma anche garantire sicurezza
e pace a chi sceglie di abitare nelle nostre case. A sud di Belfast abbiamo due
funzionari il cui compito è quello di migliorare le relazioni inter-razziali,
ma soprattutto di insegnare alla gente ad accettare i nuovi venuti.
Operate anche nelle aree-cuscinetto, quelle in cui il quartiere protestante e
quello cattolico si intersecano e sono divise da muri e zone franche?
Si chiama interfaccia, ed è un patchwork di case disseminate lungo tutta la città,
un mosaico attraversato da ben 17 muri, specialmente nel nord di Belfast, dove
spesso si trovano proprietà immobiliari vuote, perché nessuno vuole vivere lì.
Noi pensiamo a rigenerare queste aree, altimenti destinate a un rapido declino,
specialmente nella comunità protestante, colpita da un calo della popolazione
non riscontrabile in quella cattolica. Così assistiamo a questo paradosso: quartieri
al nord sovrappopolati da cattolici che hanno fame di case e quartieri al sud
che i protestanti abbandonano perché nelle aree dell'interfaccia, ma dove i cattolici
non possono andare perché sono border-line. Un enorme investimento è destinato
dallo Stato alla riprogettazione di queste aree. Noi abbiamo un ruolo nel programma
di sviluppo lanciato dal Comune di Belfast per l'interfaccia. 750 mila euro per
creare due consorzi: uno per la comunità, uno per le varie agenzie come la nostra,
e per lavorare insieme, smussando le asperità e attenuando le diffidenze. Anche
noi, nel nostro piccolo, dobbiamo gestire un conflitto in una zona costellata
di muri.
Quando cadranno questi muri?
Se fossi in grado di risponderle forse farei un altro mestiere. Noi cerchiamo
solo di far dialogare e convivere le persone, ma c'è bisogno del sostegno della
politica. E ancor prima, bisogna che i politici ascoltino i leader delle comunità.
Sono loro i veri ispiratori del cambiamento.