Rubrica: terraterra
L'etanolo ubriaca l'America rurale
Quest'anno un quarto della produzione di mais degli Stati uniti d'America sarà inghiottita dalle raffinerie che lo trasformano in etanolo.
L'anno scorso (2006) era stato il 16%.
E con un'ottantina di distillerie in costruzione, che raddoppiano la capacità di produzione oggi esistente, nel 2008 un terzo del raccolto di mais statunitense sarà convertito in etanolo.
E' un vero e proprio boom. La produzione di etanolo aumenta perché esplode la domanda di quelli che vengono definiti, con un inganno semantico, «biocarburanti».
L'etanolo, ottenuto dalla distillazione di masse vegetali come canna da zucchero o mais, è uno di questi (un altro è il «biodiesel», ottenuto da olii vegetali come colza, girasole, o dall'olio di palma).
Ma usare masse vegetali su larga scala per produrre carburanti ha ben poco di «ecologico» o di «sostenibile».
L'esempio del mais negli Usa lo spiega.
Il boom della domanda di mais per produrre etanolo «sta cambiando l'economia agricola americana», notava ieri il Financial Times in un lungo articolo che sottolineava però i motivi di preoccupazione.
Per i farmers il momento sembra buono: «Con il mais a 4 dollari per bushel e la soia a 8 dollari il bushel», vale la pena di tornare alla terra; i prezzi di mais, grano e soia hanno cominciato a salire negli anni '90, alimentati da un forte export, ma l'impennata è degli ultimissimi anni ed è dovuta proprio all'etanolo.
Perché si preoccupano dunque gli analisti interrogati dal Financial Times? Perché l'agricoltura diventa sempre più legata al settore energetico, spiegano; il reddito dei farmers così resta vulnerabile alle oscillazioni delle forze di mercato.
E poi, l'aumento dei prezzi farà piacere ai coltivatori di mais e soia, ma ha effetti a catena: il boom della domanda per l'etanolo ha portato a intaccare le riserve Usa di mais, scese al livello più basso da 25 anni, e fanno prevedere che l'export americano di mais (che l'anno scorso copriva il 70% dell'export mondiale di questa derrata) crollerà nei prossimi tre anni.
Tanto più che il presidente George Bush in gennaio ha fissato un obiettivo ambizioso per i «biocarburanti»: 35 miliardi di galloni nel 2017, ben più dei 7,5 miliardi di galloni contemplati dalle legge energetica Usa del 2005.
Tra parentesi, anche l'Unione europea si è data l'obiettivo di mettere almeno il 10% di «bio» nei carburanti per i trasporti entro il 2020.
Insomma: la domanda è destinata a salire, e per soddisfarla o aumenta la superfice coltivata a mais o altra massa vegetale trasformabile, o aumenta la parte di mais mandata alle raffinerie rispetto a quella destinata ai consumi alimentari, o entrambe le cose.
E in ogni caso i prezzi continueranno a crescere.
Così, si preoccupa il Financial Times, se i prezzi delle derrate agricole aumentano troppo in fretta saliranno i prezzi degli alimentari, e vedremo una reazione contraria dei consumatori contro i biocarburanti.
E il boom rurale potrebbe di nuovo scoppiare come una bolla».
Da un punto di vista diverso, è proprio di questo che si preoccupa Lester Brown, il fondatore del Earth Policy Institute di Washington: il fatto che una quota crescente dei raccolti Usa vada nelle distillerie di etanolo fa salire i prezzi degli alimentari, dice in una nota pubblicata il 21 marzo (www.
earth-policy.
org); il prezzo del mais è raddoppiato negli ultimi 10 anni, i futures del grano sono a livelli record, rincara il riso.
«I paesi colpiti per primi sono quelli dove il mais è un alimento di base», come il Messico dove abbiamo già visto rivolte sociali contro l'aumento del prezzo della tortilla, ma l'effetto sulla «catena alimentare mondiale» è più generale (il mais è consumato indirettamente come mangime per animali, ad esempio).
E tutto questo, nota Brown, per etanolo in quantità che negli Usa equivale ad appena il 3% del consumo di carburante: «Aumentare l'efficenza dei motori del 20% nei prossimi 10 anni farebbe risparmiare più petrolio che convertire l'intera produzione americana di mais in etanolo».
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