Pechino punta sull’agroindustria
Pechino ha preso una decisione politica ben precisa: puntare sull’agrobusiness e non sui contadini locali e l’agricoltura su piccola scala. Il governo cinese sta infatti agendo a tutti i livelli (sovvenzioni, regime fiscale, regolamentazione sanitaria...) per facilitare le cose ai giganti dell’alimentare, nazionali e stranieri.
Ad esempio già nel 2003 gli allevamenti industriali avevano superato la quota di 53 000. Secondo le proiezioni di Zhou Guanghon, professore all’Università agraria di Nanjing, la percentuale di carne fornita dai piccoli produttori passerà dall’attuale 80% al 30% entro il 2020, e nello stesso periodo gli ipermercati vedranno aumentare il loro peso nella distribuzione di carne dal 15% al 40%.
Conseguenza di questa politica sono gli importanti partenariati che stanno nascendo tra le grandi aziende cinesi e le multinazionali estere, soprattutto Usa. Le industrie agroalimentare cinesi infatti sono finanziate da società straniere specializzate nella speculazione come Goldman Sachs, Kohlberg Kravis Roberts e Morgan Stanley (la holding bancaria americana salvata da un rovinoso crac dalla Federal Reserve). Senza contare che il 10% di quest’ultima è stato acquistato dal governo cinese tramite China Investment Corporation nel dicembre 2007. Allo stesso tempo i grandi allevamenti si sono assicurati forniture di mangime da Cargill e Bounge che importano soia ogm in Oriente dai loro campi statunitensi. La Cina è così ben integrata nel mondo dell’agrobusiness che Cofco, la maggior azienda cerealicola del Paese, sta negoziando l’acquisto di Smithfields Foods, il più grande produttore di suini al mondo, la cui sede è negli Stati Uniti e di cui Cofco possiede già il 5% del capitale.
Speculazioni e grandi manovre finanziarie a parte, i problemi di sicurezza sanitaria nel settore alimentare rischiano di diventare una spirale incontrollabile e un incubo per i consumatori. Lo scandalo del latte alla melamina, che l’anno scorso ha provocato sei morti e altri 300 000 malati tra i neonati, è il risultato diretto dell’industrializzazione accelerata della produzione. La crescita di allevamenti di stampo industriale ha inoltre facilitato l’insorgere o la diffusione di nuove pericolose malattie come l’aviaria. Per il settore avicolo cinese questa epidemia ha provocato il calo di un terzo della produzione durante il primo trimestre 2009. Recentemente la comparsa di una nuova forma mortale di malattia “delle orecchie blu” (Sindrome respiratoria e riproduttiva dei suini) ha ucciso un milione di maiali.
Nel 2008 la Fao ha lanciato un warning alla Cina: «È fondamentale per la sicurezza sanitaria pubblica evitare l’eccessiva concentrazione di animali in allevamenti industriali su larga scala». In Cina gli allevamenti di pollame ad alta densità sono stati duramente colpiti dal virus H5N1 (aviaria), mentre pochissimi casi si sono registrati in quelli su piccola scala, secondo uno studio di Peter Li, originario del Sud-est della Cina e oggi professore alla Università di Houston in Texas.
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