L'ENI al fronte con Lomborg
Quando una multinazionale del petrolio produce studi ambientali, c'è da aspettarsi poco. Fino ad oggi i risultati più consistenti di questi studi sono stati nell'ambito del greenwashing, pratica che consiste nel mettere sul mercato prodotti appena meno inquinanti di quelli che sostituiscono e nel gridare al mondo che la compagnia possiede una “coscienza ecologica” ed è sensibile alla conservazione dell'ambiente. Così consumiamo benzina “verde” e gasolio “pulito” che, ovviamente, non lo sono per niente ed evitiamo i rimorsi quando andiamo ad abbeverare automobili sempre più grandi e pesanti. Allo stesso modo funziona la produzione di eventi che rimarchino la “responsabilità sociale” delle aziende o i suoi “standard etici e ambientali”; la costruzione di una scuola o di un piccolo ambulatorio in Africa, sarà pubblicizzata molto più di un accordo da miliardi di dollari con un governo dalla pessima reputazione.
Maluccio invece è andata con il negazionismo spicciolo: EXXON è stata colta con le mani nel sacco a finanziare “studi” ridicoli, l'American Petroleum Institute (API) si è ridotto produrre false lettere di falsi elettori che chiedevano ai deputati di difendere l'industria degli idrocarburi; i produttori di carbone continuano a divertire tutti con i simpatici messaggi che propagandano l'inesistente “carbone pulito” o l'ancora più mitico “sequestro del Co2”. Non c'è più l'amministrazione Bush che falsificava i dati sull'inquinamento ambientale e molti governi in giro per il mondo comincino a sentire sulla pelle dei loro cittadini i morsi del global warming.
In realtà a questi moloch dell'industria e della finanza importa assai poco dell'ambiente e del futuro del pianeta, quello che importa loro é la difesa del business, dell'idea stessa della legittimità del business, minacciata dall'avvento di pericolosi cambiamenti climatici, per i quali sono accusate proprio le emissioni in atmosfera, di cui è in gran parte responsabile proprio l'impiego di combustibili fossili. La strategia è quindi chiaramente rivolta a contrastare qualsiasi taglio o tassazione alle emissioni e, allo stesso tempo, al contrasto di politiche volte a incidere gli attuali monopoli energetici. L'eolico e il solare sono i principali nemici, essendo l'antitesi del modello economico fondato sul controllo degli idrocarburi. Le grandi compagnie hanno anche l'interessato sostegno dei paesi produttori, e così si determina la curiosa situazione per la quale i ricercatori che si impegnano in dimostrazioni utili a mettere in dubbio le politiche che spingono per la tassazione degli idrocarburi e delle emissioni, così come gli investimenti in energie alternative, trovano generosi finanziamenti con grande facilità.
Sono così nate e hanno avuto grande diffusione le leggende metropolitane sugli impianti eolici rumorosissimi e che fanno stragi di preziosi uccelli migratori, che hanno retto fino a che è diventato evidente a tutti per esperienza diretta che rumore non ne fanno e che le stragi di uccelli non le ha mai viste nessuno. Sono nate anche associazioni e istituzioni devote alla diffusione di questo genere di storie. Una stella in questo fosco panorama è sicuramente Bjorn Lomborg, già autore de “L'ambientalista scettico” e direttore del CCC (Copenhagen Consensus Centre), organizzazione ovviamente dedita a combattere le politiche di riduzione delle emissioni inquinanti attraverso la produzione e manipolazione di studi che di “scientifico” hanno ben poco.
Si deve al CCC se qualcuno di voi questa estate ha sentito parlare di nuvole artificiali per respingere i raggi solari e quindi limitare il global warming. Anche Lomborg e il CCC ora partono dalla premessa che il riscaldamento sia una minaccia attuale e imminente, le tesi negazioniste di Lomborg sono state sbertucciate dalla comunità scientifica e schiantate dai dati raccolti nel tempo ed è diventato impossibile negare l'evidenza. Con un triplo salto mortale, Lomborg si è rimesso in piedi e ora produce studi per dimostrare che - qualunque cosa - costerà meno della riduzione delle emissioni. Costano meno le nuvole artificiali, ma costa meno anche spendere soldi per adattarsi ad un pianeta più caldo tutto pur di non andare verso il taglio delle emissioni. È il nuovo mantra, il nuovo talking point dell'industria petrolifera: visto che il riscaldamento del pianeta è innegabile e che altrettanto lo è il suo legame con le emissioni la strategia si centra sulla produzione continua di soluzioni appena verosimili che allontanino l'attenzione dall'unica soluzione sulla quale c'è un vero consenso nella comunità scientifica.
Ovviamente Lomborg deve lavorare un po' di fantasia, la sua ultima collaborazione con l'ENI dimostra come ancora non abbia trovato la quadratura del cerchio. Lomborg ha infatti “commissionato” (ipse dixit) una ricerca alla Fondazione Enrico Mattei, che doveva calcolare il beneficio di politiche adattative al cambiamento climatico nei confronti delle strategie volte ad impedirlo. Lomborg dice che i ricercatori italiani Carlo Carraro, Francesco Bosello ed Enrica De Cian (Università Ca' Foscari di Venezia, economisti e non climatologi) hanno calcolato che investire in interventi di adattamento e mitigazione - ad esempio in sementi resistenti al calore e nell'isolamento delle case - potrebbe produrre ritorni per 1.7 volte l'investimento entro il secolo. Forte di questo unico dato, invero insignificante (1.7 volte il capitale investito in 90 anni non è una misura significativa), Lomborg ha annunciato alla stampa internazionale che conviene adattarsi ai cambiamenti climatici prodotti dalle emissioni piuttosto che cercare di contrastarli. Tanto più che, sostiene, saranno i paesi più poveri i più colpiti; meglio “aiutarli” ad adattarsi che lasciarli colpevolmente soffrire. Lomborg e i suoi finanziatori sono sempre stati preoccupati per la sorte dei paesi poveri.
Lomborg ha quindi “commissionato” e (l'Eni finanziato) una ricerca tutto sommato insignificante, al solo scopo di usarne gli scontati risultati per ribattere il suo nuovo punto di vista: al cambiamento climatico conviene adattarsi. Lo studio ha il piccolo difetto di circoscrivere molto l'analisi, quantificando costi e benefici attraverso la sola variazione del PIL (prodotto interno lordo), un indice che si è già dimostrato tutto fuorché un riferimento utile a misurare benessere e sviluppo.
Lo studio e Lomborg evitano poi di dire che nel mondo “adattato” o l'inquinamento dell'atmosfera e della biosfera in generale resteranno un grosso problema senza tagli alle emissioni ed evitano accuratamente di spingersi troppo in là, ad esempio fino a che l'effetto dell'accumulo non renderà irreversibili certi cambiamenti o velenose l'atmosfera e le acque. Dal negare l'aumento delle temperature, si è passati a considerare - solo - quello. Allo stesso modo l'analisi sulle variazioni del PIL non ci dice niente della qualità della vita quotidiana di quegli uomini che dovranno coltivare piante resistenti al calore e isolare l'abitazione, perché fuori fa troppo caldo; e nemmeno ci dice cosa costerà depurare acque sempre più inquinate o respirare aria con un numero sempre minore di parti per milione (ppm) di ossigeno.
La cosa non spaventa di certo Lomborg che ha presentato con le trombe lo studio della Fondazione Enrico Mattei” intitolato in inglese “Analysis of Adaptation as a Response to Climate Change “ e, seppure il direttore della ricerca, Carlo Carraro, sostiene (con onestà intellettuale) che la strategia ottimale sarebbe quella di mitigare e ridurre le emissioni, Lomborg ne trae la prova provata che conviene scegliere strategie d'adattamento, piuttosto che ridurre le emissioni.
Lomborg si è esibito con l’agenzia Reuters e le sue dichiarazioni hanno avuta una discreta eco all'estero, mentre in Italia non se ne trova traccia. Questa e le ultime esibizioni sul genere ci dicono quindi che la strategia delle compagnie petrolifere ha abbandonato il fronte negazionista e ora ammette la minaccia del cambiamento climatico, ma non ha abbandonato la battaglia. Nei prossimi tempi, la linea che i soliti noti sosterranno in opposizione ai tagli alle emissioni, sarà quindi quella di sostenere la superiore economicità di una scelta politica che privilegi la riparazione dei danni, invece di puntare al contenimento delle emissioni inquinanti e alla riduzione della dipendenza energetica da combustibili fossili. Avrà gioco facile, le sue dichiarazioni arrivano sui giornali e sui media senza alcun contraddittorio e ha già dimostrato che non bastano le figuracce raccapriccianti a fermarlo. Le sue affermazioni invadono il mainstream senza incontrare resistenza e si sedimentano in rete come nelle convinzioni dei meno accorti.
Sosterranno che all'umanità conviene investire per “salvare” le vittime del cambiamento climatico ora e subito, lasciando il problema sovrastante ancora più incombente e grave alle generazioni future, piuttosto che “perdere” PIL con investimenti apparentemente a fondo perduto che (orrore!), avrebbero la sgradevole conseguenza di mettere in pericolo il controllo delle grandi compagnie sulle fonti energetiche e i loro guadagni. Ovviamente pur ammettendo che qualche danno è stato fatto, nessuno degli “scienziati” alla Lomborg azzarda mai l'ipotesi che a pagare sia chiamato anche chi l'ha provocato; un altro singolare peccato d'omissione, per quanto comprensibile. La brutta notizia è che questi signori hanno denaro e influenze sufficienti a comprarsi fior di “ricerche” e ad assicurarne la copiosa diffusione attraverso i media mainstream e che riusciranno a convincere un sacco di gente. A dimostrazione dell'efficacia di questa robaccia c'è la residua esistenza di molti “ambientalisti scettici” e, anche se il loro guru si è pentito in silenzio da tempo, si è dimenticato di sconfessare le sciocchezze pregresse e costoro sono convinti che l'aumento globale della temperatura sia un complotto del governo per aumentare le tasse o l'effetto delle attività delle macchie solari.
La storia della guerra delle multinazionali del petrolio contro il resto del mondo si arricchisce così di un nuovo capitolo, confermando i timori di quanti da sempre sono destinati a pagare i costi occulti di quei profitti attraverso la socializzazione dei danni provocati all'ambiente. Occorre quindi che quanti sono sinceramente preoccupati per l'abitabilità del pianeta nel prossimo futuro siano coscienti della presenza e dell'operatività di queste forze platealmente eversive, intente a dirottare il dibattito pubblico con falsità sempre diverse, ma che hanno un unico scopo: la protezione degli attuali interessi e monopoli energetici, anche a costo di compromettere il futuro stesso del pianeta.
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