Jatropha, il biocarburante del futuro
E’ una pianta selvatica capace di crescere anche in zone semi-aride, quindi non competitiva con le derrate alimentari
Alcune problematiche connesse ai biocarburanti tradizionali, quali la competizione tra fini alternativi di una risorsa scarsa quali sono i terreni arabili (cosiddetta competition for land) ed il conseguente aumento nei prezzi delle derrate alimentari, hanno fatto spostare l’attenzione degli addetti ai lavori verso specifiche tipologie di biocarburanti capaci di superare tali criticità. In tale prospettiva, un’opzione particolarmente promettente pare rappresentata dal biodiesel ottenibile dalla Jatropha. Originaria dell’America Centrale ma comune oggi pure in Africa ed India, la Jatropha è una pianta selvatica capace di crescere anche in zone semi-aride, ove altre colture tradizionali perirebbero.
Sebbene infatti il suo habitat ideale sia rappresentato da zone caratterizzate da temperature costanti tra i 20 ed i 30 gradi, la Jatropha dimostra grandissima adattabilità ad ambienti ostili, il che la rende particolarmente adatta ad essere coltivata in zone semi-desertiche dell’America Centrale, dell’Africa e dell’India.
I suoi rendimenti in termini di olio grezzo variano significativamente da caso a caso, e data la natura ancora selvatica della pianta non sono state apportate ad oggi quelle migliorie che permetterebbero di incrementarne notevolmente la produttività. Le rese sembrano comunque essere molto promettenti, soprattutto se paragonate a quelle di altri feedstock da biodiesel. La seguente figura illustra infatti come solo l’olio di palma sia preferibile sotto questo punto di vista, mentre altri feedstock tradizionali quali la colza, il girasole e la soia mostrino risultati decisamente più scarsi (dati WorldWatch Institute 2006, Biofuel for Trasportation).
Inoltre, la Jartopha non è edibile vista la sua tossicità, e non viene attaccata dagli animali in cerca di cibo. Se questo può apparire come un vantaggio di modesta entità nel contesto Europeo, la situazione cambia radicalmente in Africa o in India, ove gli animali rappresentano una minaccia costante e rilevante per numerose piante. Inoltre, la Jatropha aiuta a prevenire la desertificazione, e questo spiega come molti esperti considerino questa pianta come una soluzione efficace per specifici contesti geografici, anche per il grande potenziale che essa offre dal punto di vista delle opportunità di lavoro per le comunità rurali autoctone.
Bisogna comunque sottolineare come vi sia stata anche molta disinformazione sulla Jartopha, facendo sorgere aspettative forse esagerate visti i punti interrogativi che comunque ancora persistono:
le piantagioni di Jatropha esistenti sono per lo più progetti pilota finanziati dai Governi nazionali le tecniche di coltivazione e raccolta sono ancora labour-intensive molte informazioni inerenti la Jatropha sono inesatte e sovrastimano pesantemente l’effettiva diffusione odierna della medesima.
Sebbene il continente africano sia un’area dal grandissimo potenziale per la coltivazione futura di Jatropha, ad oggi è in India che si sono raggiunti i risultati più lusinghieri. Un progetto dimostrativo su 400,000 ettari è stato avviato, e si prevede che l’area dedicata verrà gradualmente incrementata grazie ad una partnership tra Governo ed attori privati.
Per quanto concerne l’Europa, invece, il clima appare essere troppo rigido per la pianta persino nelle regioni mediterranee. Vi sono in verità alcune piantagioni sperimentali in Grecia, Spagna ed Italia, ma i primi risultati paiono poco incoraggianti, probabilmente in virtù degli inverni eccessivamente rigidi.
L’Unione Europea sta comunque puntando con decisione sulla Jatropha, sebbene in maniera indiretta, tramite investimenti in Paesi tropicali e subtropicali al fine di raggiungere sinergicamente risultati di diversa natura quali:
la creazione di posti di lavoro in aree svantaggiate del Nordafrica
il conseguente contributo ad un controllo migliore dei flussi migratori
l’ingresso in un settore promettente come quello dei biocarburanti avanzati
Per quanto concerne gli investimenti privati, sicuramente la società inglese D1Oils è all’avanguardia con investimenti in piantagioni di Jatropha pari a 200,000 ettari dislocati in diversi Paesi, dalle Filippine al Ghana:
Ma anche l’Italia si sta muovendo in questo senso; Agroils, ad esempio, è attiva nel settore con importanti attività di ricerca sulla meccanizzazione del processo produttivo e sui miglioramenti genetici della pianta medesima, che potrebbero risultare in rese maggiori (progetti aperti in diversi Paesi quali Brasile, Camerun e Tunisia).
In conclusione, pare quindi che la Jatropha possa effettivamente fornire un contributo rilevante alla causa dei biocarburanti, una volta superate alcune difficoltà iniziali dovute alla fase sperimentale che tuttora caratterizza l’industria. Ad avvantaggiarsene potrebbero essere in primis le Nazioni delle aree di coltivazione, spesso situate in zone depresse quali l’Africa o l’America centrale, ma anche i Paesi Europei tramite partnerships strategiche e progetti di investimento in Paesi Terzi.
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