Nucleare italiano: due bugie e una verità
La prima bugia è che l’Italia sia un paese denuclearizzato. Nel 1987 il referendum non proibì la costruzione di nuove centrali sul nostro territorio: rese solo più complicato il loro insediamento. Il governo non poteva più comprare il consenso delle popolazioni e non poteva più decidere al posto degli enti locali. E’ vero che il terzo quesito vietava ad ENEL di costruire centrali…ma all’estero! E anche se tra il 1990 e il 1991 le 4 centrali atomiche furono spente, e fu ordinato ad ENEL di disattivarle, quell’iter non si è ancora concluso lasciando vigenti su quei siti le prescrizioni nucleari degli anni ’70.
Per far ripartire quella stagione, solo interrotta, bastava aspettare la fine della moratoria (1993) e presentare il progetto dell’impianto nucleare al Ministro dell’Industria (oggi MSE) rispettando la procedura indicata dal Decreto Legislativo 230 del 15 marzo 1995 che, recependo le direttive europee sulla gestione delle radiazioni ionizzanti, oltre a definire i parametri e le norme per l’uso delle sorgenti radioattive, indica quale percorso fare per costruire, gestire e smantellare un impianto nuclerare. Un iter sicuramente complicato - la legge prevede che le autorizzazioni alla costruzione siano date per step - che il referendum sicuramente aveva reso ancor più difficoltoso, ma assolutamente percorribile.
Se in Italia non si sono costruite nuove centrali è perché dopo gli incidenti in America (Tree Mile Island) e in Russia (Chernobyl) garantire la sicurezza dei nuovi impianti faceva aumentare vertiginosamente i costi di costruzione, rendendole non remunerative. In Europa, l’ultima centrale ordinata è quella francese di Civauex, nel 1988, mentre Belgio, Spagna e Germania hanno deciso di non costruirne più. Dall’altra parte del mondo, negli Stati Uniti, l’ultimo ordine è addirittura del 1975.
La seconda bugia è che lo Stato Italiano volesse smantellare quegli impianti. Non c’é alcuno smantellamento in atto, ma solo la tenuta in sicurezza di 4 vestuste centrali atomiche e 5 obsoleti laboratori di ricerca nucleari. Impianti costruiti a pochi metri dalle rive dei fiumi dove sono stoccate, in pessime condizioni di sicurezza, 28.000 metri cubi di scorie radioattive e più di 1.000 tonnellate di combustibile nucleare.
Nel 1999 il governo Prodi creò la SOGIN per smontare quelle centrali. E anche se l’idea corrente era quella di chiudere le centrali a fine vita e aspettare almeno 100 anni prima di aggredire l’isola nucleare, la SOGIN lo avrebbe fatto in 20 anni! Lo chiamarono “smantellamento accellerato” e l’Italia, un paese che aveva abbandonato l’atomo 20 anni prima, sarebbe stato il primo paese al mondo a praticarlo!
Una missione impossibile, come ha candidamente riconosciuto nel 2007 il suo ultimo Amministratore - l’ing. Massimo Romano - per il quale “le attività di progettazione e committenza” della società “si sono rivelate più complesse di quanto originariamente prefigurato” e che la società “non é stata del tutto in grado di riorientare regolamenti, risorse e know-how dalle attività di esercizio a quelle di decommissioning.” Si tratta di 1.200 milioni di Euro, interamente versati nelle casse della società dalle famiglie italiane grazie ad una tassa che grava sulla loro bolletta elettrica, buttati al vento.
In realtà la SOGIN nasce per eliminare il “ramo secco” del nucleare, che costava all’ENEL centinaia di miliardi l’anno. Oltre che un costo inutile, era una zavorra che avrebbe danneggiato il collocamento in Borsa dell’azienda appena privatizzata. Perciò si esternalizzò quello che rimaneva dell’ufficio nuclere di ENEL: 580 “guardie giurate” troppo costose da mantenere, creando la SOGIN. Oggi la chiameremmo bad company. Ieri era l’azienda che avrebbe chiuso il ciclo nucleare.
L’unica verità è che in Italia esiste una lobby nucleare. Un “potere forte” che ha un solo scopo: la realizzazione - ieri come oggi - di cattedrali nel deserto per garantire anni di commesse milionarie agli industriali e laute prebende ai partiti politici. Però serviva che quella prima inutile avventura, costata alle finanze pubbliche ben 25,5 miliardi di Euro, rimanesse sconosciuta. Sarebbe così stato più semplice rivenderla agli Italiani come nuova, appena se ne fosse presentata l’occasione.
Grazie all’incompetenza della SOGIN, ci sono già dei siti nucleari dai quali sarà logico ripartire. Poi, per non ritrovarsi orde di manifestanti o ordinanze dei sindaci a bloccare i cantieri, ecco le “nuove” norme nucleari - inserite nella legge 99/09 - con le quali si renderà sicuro e veloce l’iter per la costruzione degli impianti. In questo modo si supereranno gli esosi controlli del D.lvo 230 che però resterà il riferimento principe per la sicurezza radiologica e la gestione del materiale radioattivo.
Il governo assicurerà poi la vigilanza armata dei cantieri, accollandosi le eventuali spese di costruzione extra se queste saranno dovute a ragioni non riconducibli al costruttore. Garantirà delle compensazioni ai territori che accetteranno le centrali; se però l’ente locale non li accetterà, il governo sceglierà per lui (in pratica si annulla il referendum del 1987).
Nel febbraio del 2006 “Nova Res Publica”, una think tank culturale della destra liberale che in quel periodo annoverava nel suo comitato scientifico Giulio Tremonti e Guido Possa, organizzò un incontro presso la Casa dell’Energia dell’Azienda Elettrica Milanese. Il tema? Aprire un “dibattito costruttivo, apartitico e non ideologizzato” sull’energia nucleare fra esponenti della politica, dell’industria e della ricerca scientifica. Come riferì il giornale Quotidiano Energia, dal dibattito venne fuori che “potrebbe essere il 2015 la data di riferimento per la creazione di un consorzio nazionale con l’obiettivo di realizzare un primo pacchetto di centrali nucleari, in Italia”. Una data suggerita da Roberto Poti, il direttore Sviluppo nuove iniziative di Edison, che propose anche “la costituzione di un consorzio che, sfruttando economie di scala e sinergie, desse vita a un programma di circa 10 mila MW (6 centrali)”.
Al dibattito, scrisse ancora QE, erano presenti “il presidente del Cnr Fabio Pistella, Alberto Renieri (Enea), Carlo Lombardi ed Ennio Macchi (Politecnico di Milano), Othman Sabli (del colosso francese Framantone, che costruisce i reattori Epr oggi Areva), Jaime Segarra (General Electric), Fernando Naredo (Westinghouse), Giuseppe Zampini (Ansaldo Nucleare), Michel Bernard (Edf), Andrea Testi (Enel) Roberto Potì (Edison), Mario Molinari (Energia), Michele Sparacino (Aem) e Flavio Bregant (Federacciai).”
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