Banca Mondiale, predica bene e razzola male
Il rapporto annuale World Development Report, appena pubblicato dalla Banca Mondiale, fa appello ai paesi ricchi affinché intervengano con finanziamenti internazionali consistenti per contrastare il global warming, che colpirà soprattutto le nazioni più povere. Ma l'istituto internazionale resta sotto accusa per i suoi ingenti aiuti finanziari alle fonti fossili, in primis il carbone.
Avverte sulle pesanti conseguenze del global warming per i paesi poveri, ma nel contempo continua a finanziare progetti disastrosi per il clima come
le centrali a carbone. Con l’ultimo World Development Report, fresco di pubblicazione (vedi allegato), la Banca Mondiale,
lancia un appello forte ai paesi ricchi perché si facciano carico della lotta al cambiamento climatico. Il riscaldamento globale colpirà
più duro nei paesi poveri - spiega - ed è essenziale che le nazioni di prima industrializzazione diano un forte supporto: occorrono
quasi 500 miliardi di dollari all’anno da qui al 2030 per mitigazione e adattamento nei paesi in via di sviluppo.
Anche se si
riuscisse a contenere il riscaldamento entro i 2 gradi centigradi dai livelli preindustriali, sottolinea il nuovo report, le economie di molti paesi africani
e asiatici avrebbero comunque danni consistenti. Se gli aumenti fossero più alti, le conseguenze catastrofiche date dall’aumento dei
livelli del mare, dalle inondazioni e dalle siccità prolungate concentrerebbero il 75-80% dei danni proprio nei paesi più
poveri, che così - spiega il presidente della World Bank Robert Zoellick - pagherebbero “in maniera sproporzionata
una crisi climatica che non hanno causato loro e che non sono preparati ad affrontare. Un argomento non nuovo, quello portato dal WDR 2010,
sollevato in questi mesi da altri studi (vedi su Qualenergia.it “Investimenti per il new deal globale”), e che avrà un grande peso nei negoziati di Copenhagen. In
particolare quando si dovrà decidere l’importo del fondo internazionale necessario per aiutare i Pvs ad affrontare il global
warming. L’unica cifra di cui si è parlato nei negoziati finora sono i 100 miliardi all’anno proposti da Gordon Brown;
il dipartimento degli affari economici e sociali delle Nazioni Unite stima invece che servano almeno 5-600 miliardi di dollari all’anno, una cifra
simile a quella contenuta in quest’ultimo report della Banca Mondiale.
Per vincere la sfida mondiale dei cambiamenti climatici
ed evitare il peggio - secondo il World Development Report 2010 - da qui al 2030 occorrono infatti almeno 400 miliardi
all’anno per aiutare le nazioni meno sviluppate a ridurre le emissioni, altri 75 per le misure di adattamento e
si dovrebbe investire molto di più in ricerca e sviluppo, dai 100 ai 700 miliardi all’anno, anziché gli attuali 13.
Ingenti somme che però, avverte la Banca Mondiale, sarebbe molto più costoso non
stanziare. Oltre ai danni evitati contenendo il riscaldamento - si spiega - pratiche e tecnologie low-carbon fanno risparmiare risorse,
energia e, dunque, denaro. Solo con l’efficienza energetica, ad esempio, si potrebbe ridurre il fabbisogno energetico del sistema produttivo
mondiale del 20-30%, favorendo così la crescita economica, mentre al contempo si riducono le emissioni. Insomma, con
quest’ultimo report, pubblicato con il vertice di Copenhagen sempre più vicino, la Banca Mondiale invoca un accordo internazionale
deciso, in cui i paesi ricchi si assumano le proprie responsabilità nei confronti del resto del mondo e con il quale si riescano a limitare i danni
del global warming. Un appello condiviso dai paesi in via di sviluppo e dai gruppi ambientalisti, che spesso però mantengono una posizione
alquanto critica nei confronti di questa istituzione. Sotto accusa le politiche liberiste che la World Bank ha
spesso imposto ai paesi in via di sviluppo, tacciate di aver causato maggior povertà e danni ambientali (vedi su questo Greenpeace
International), ma anche gli investimenti in campo energetico, che spesso vanno nella direzione opposta a quanto auspicato nel report di cui
abbiamo parlato. Nonostante negli ultimi 3 anni i finanziamenti della Banca per i progetti di efficienza energetica e rinnovabili siano
aumentati del 27%, arrivando a un totale di 3,3 miliardi di dollari, restano solo il 40% del totale stanziato nel settore
energia. Pochi giorni fa la Banca Mondiale ha annunciato una sospensione momentanea dei suoi finanziamenti all’industria dell’ olio di
palma, che ha grosse responsabilità nella deforestazione. Negli investimenti in fonti fossili, un terzo del totale di quelli in energia,
resta invece ben presente il carbone, nemico numero uno del clima. Ad esempio, denuncia il Times, l’anno scorso
World Bank, assieme alla Asian Development Bank, ha approvato un prestito di 850 milioni di dollari per una centrale a carbone, in India, nel Gujarat,
che sarà una delle più grandi fonti di emissioni al mondo, con 26,7 milioni di tonnellate di CO2 all’anno. Allo stesso modo in
Sud Africa ha contribuito con 5 miliardi al piano di potenziamento del sistema elettrico, che comprende la realizzazione di nuove centrali. Dunque, investimenti discutibili se consideriamo il quadro climatico attuale: il carbone, come si giustifica la Banca, sarà forse un
modo di fornire elettricità a buon mercato a quei 1,6 miliardi di persone che ancora sono senza, ma è pur sempre la causa più
rilevante (41% delle emissioni) del riscaldamento globale. Riscaldamento le cui conseguenze, ci insegna proprio l’ultimo report targato World
Bank, si abbatteranno con più violenza proprio su quella parte più povera dell’umanità che la Banca Mondiale dovrebbe
aiutare. Allegato: World Development Report 2010 (pdf)
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