LA nazione iberica, infatti, ha
un tasso di disoccupazione tra i più alti in Europa:
del 18,5%, avviato verso il 19,4% al 2010 - secondo i dati del FMI - e ha deciso di affrontare la situazione premendo ulteriormente l’acceleratore sulla strada dell’economia a basso contenuto di carbonio. Grazie a nuove leggi che impongono standard minimi su efficienza energetica e rinnovabili, a incentivi, finanziamenti pubblici e privati, il governo Zapatero stima che nei prossimi 10 anni si creeranno
1 milione di nuovi posti di lavoro. Il paese quindi vuole continuare sulla strada che lo ha portato ad essere uno dei leader mondiali nelle fonti rinnovabili e ad avere da fonti pulite circa un quarto dell’elettricità consumata. Con investimenti pubblici per 30 miliardi di dollari e grazie agli incentivi per le rinnovabili, la Spagna dal 2000 a oggi ha raddoppiato gli addetti nelle energie pulite, che ora ammontano a circa 200mila.
Che il paese più colpito dalla crisi insista sulle energie rinnovabili e l'efficienza energetica per creare lavoro è molto significativo. L’esperienza spagnola di spinta a questi comparti, citata più volte come
esempio positivo da Obama, è stata infatti più volte al centro del dibattito tra favorevoli e contrari in paesi in cui si volevano introdurre iniziative simili. Dal punto di vista dell’occupazione molto rumore tra i critici della spinta ecologista aveva fatto uno studio (vedi
pdf) pubblicato per l’Universidad Rey Juan Carlos dal professor Gabriel Calzada. Questo sosteneva che con l’iniezione della stessa quantità di denaro pubblico si sarebbero potuti creare molti più lavori in altri settori, e che le ingenti risorse destinate alle
rinnovabili avrebbe fatto
calare l’occupazione.
Per smentire lo studio di Calzada (direttore di un think-tank con posizioni negazioniste sui cambiamenti climatici) era intervenuto addirittura il National Renewable Energy Laboratory Usa (vedi
pdf): secondo il centro studi governativo americano
le tesi di Calzada erano sostanzialmente
infondate perché - oltre a supporre erroneamente che ogni dollaro speso per finanziare le energie pulite implicasse un dollaro meno negli investimenti privati negli altri settori - non tenevano conto di fattori importanti, quali il tipo di lavori creati, l’indotto e il know-how, la quota di mercati esteri guadagnati dalla Spagna grazie alle rinnovabili e le ricadute positive su clima e indipendenza energetica.
Ora l'annunciata spinta alla green economy spagnola è giustamente guardata con attenzione dagli altri paesi.
La nuova legge per la sostenibilità ecologica, che sarà presentata in Parlamento il mese prossimo, metterà in campo altri investimenti multimiliardari e in gran parte sarà finalizzata ad aumentare la domanda per efficienza energetica e rinnovabili. Per parlare di un settore tra i più colpiti,
le costruzioni, l’80% del milione di posti di lavoro persi nel 2008, secondo il governo Zapatero, sarà recuperato nella realizzazione di impianti di energia rinnovabile e soprattutto nella riqualificazione energetica degli edifici.
Una stima quest’ultima su cui dovrebbe riflettere
il nostro governo, che nell’ultima finanziaria potrebbe far
sparire i fondi per gli incentivi agli interventi per l’efficienza energetica negli edifici, ossia il
bonus del 55% per cambiare i serramenti, installare pannelli solari termici, isolare o fare altri interventi che migliorino le prestazioni energetiche delle abitazioni. Una misura che crea lavoro e nel contempo aiuta il paese a rispettare gli impegni presi con l’Europa e gli italiani a risparmiare sulle bollette. Insomma, un dispositivo legislativo che incarnava appieno lo spirito di quel “green new deal” condiviso da sempre più istituzioni e governi, su cui però il nostro esecutivo sembra contare ancora troppo poco.