Le regioni contro il nucleare in 15 dicono no alle centrali
Partono i ricorsi alla Corte Costituzionale, possibile il referendum
ROMA - Il nucleare sta aprendo un conflitto istituzionale tra governo ed enti locali. Dieci Regioni hanno deciso di far ricorso alla Corte costituzionale contro la legge che sancisce il ritorno delle centrali atomiche. Due Regioni, pur evitando le vie legali, hanno dichiarato il loro territorio non disponibile. Altre tre si stanno orientando per il no. Dunque, prima ancora che parta la nuova corsa all’atomo, la rosa dei candidati si è molto ristretta.
La prima a lanciare la sfida legale al governo è stata la Regione Calabria che ha deciso di porre davanti alla Consulta il quesito: Palazzo Chigi può decidere di costruire una centrale nucleare contro il parere della Regione, che è l’ente a cui è istituzionalmente affidata la tutela del territorio e dell’ambiente? Su questa linea si sono schierate Piemonte, Liguria, Emilia Romagna, Toscana, Lazio, Marche, Umbria, Puglia e Basilicata.
Il fronte anti atomo ha fatto breccia anche nel centro destra. Il neo presidente della Sardegna, Ugo Cappellacci, aveva condotto tutta la campagna elettorale sostenendo lo slogan dell’isola fuori dal nucleare e la sua giunta si è mostrata molto compatta nel difendere questa posizione. Con 53 voti favorevoli e un astenuto è stato approvato un ordine del giorno presentato dai capigruppo di maggioranza e opposizione che impegna la giunta «ad adottare tutti gli atti necessari a impedire in Sardegna la costruzione di centrali nucleari e la localizzazioni di depositi per le scorie provenienti da reattori a fissione». Il Molise si è accodato chiarendo senza esitazioni il suo no: «Come governo regionale siamo assolutamente contrari alla realizzazione di una centrale nucleare in Molise non esistendo, sul nostro territorio, nessuna delle condizioni necessarie ad un impianto di questo tipo».
Verso il ricorso alla Corte costituzionale sembrano orientarsi anche la Campania e la Sicilia. In quanto al Veneto, presieduto da un paladino dell’atomo come Giancarlo Galan, le cose si sono complicate quando si è trattato di votare. Una mozione anti nucleare presentata dal centro sinistra in Consiglio regionale ha avuto 19 voti a favore, e solo 18 contrari perché gli 8 rappresentanti della Lega si sono astenuti. Una sconfessione che ha costretto Galan a una faticosa mediazione. Per evitare di lasciar campo libero alla Lega, il presidente del Veneto ha dovuto prima fare rapidamente marcia indietro sul piano pratico assicurando che nella regione non esistono siti adatti per una centrale nucleare e poi lanciare una controffensiva politica: «Senza il nucleare da dove prenderà la sua energia la Padania libera?»
All’appello mancano cinque Regioni. Il Trentino Alto Adige e la Val d’Aosta, che non sembrano avere i requisiti per una candidatura. L’Abruzzo, in cui con le scosse di assestamento in corso l’ipotesi nucleare potrebbe non trovare un largo gradimento. La Lombardia e il Friuli che al momento non hanno dato segnali di opposizione: per mantenere l’impegno del governo a costruire quattro impianti nucleari dovrebbero prendersi due centrali atomiche per uno.
«Un pronunciamento così largo rimette tutto in discussione: con l’accordo di cinque Regioni si può chiedere il referendum», nota Giuseppe Onufrio, direttore di Greenpeace. «E anche dal punto di vista economico la scelta pro nucleare traballa. Secondo gli ultimi dati ufficiali del dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti per i nuovi impianti da mettere in linea nel 2020 un chilowattora nucleare costerà 10,2 centesimi, contro i 9,9 dell’eolico, i 9,8 del carbone e gli 8,2 del gas. Ma queste cifre sono state calcolate ipotizzando che una centrale nucleare da 1.000 megawatt costi 3,3 miliardi di dollari, mentre la Florida Light&Power è arrivata a chiedere 8,2 miliardi di dollari per costruire un impianto: tenendo conto delle indicazioni del mercato i costi del nucleare raddoppiano».
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