Giorni di negoziato a Copenhagen: meno 10
Mancano poco meno di 10 giorni effettivi di negoziato per arrivare all'inizio del summit sul clima previsto a Copenhagen dal 7 al 18 dicembre 2009, ma la situazione, e soprattutto l'esito finale delle varie discussioni, appaiano tutt'altro che definiti. Un resoconto da Bangkok di Leonardo Massai.
Mancano poco meno di 10 giorni effettivi di negoziato per arrivare all'inizio del summit sul clima previsto a Copenhagen dal 7 al 18 dicembre 2009 (15a Conferenza delle Parti della Conventione ONU sui cambiamenti climatici). Nella capitale danese è attesa la conclusione del percorso iniziato a Montreal nel 2005, per passare da Bali nel 2007 (Bali Roadmap) che riguarda il percorso futuro della lotta ai cambiamenti climatici a livello globale. Quindi a soli dieci giorni dall'apertura delle due settimane finali di Copenhagen dove si riuniranno la diplomazia mondiale, migliaia di delegati, osservatori e tutti i media internazionali, il negoziato procede, ma la situazione, e soprattutto l'esito finale delle varie discussioni, appaiano tutt'altro che definiti.
La distanza tra le parti sulle questioni sostanziali, tra cui la misura dello sforzo richiesto ai paesi industrializzati per ridurre le emissioni dei gas climalteranti e la distribuzione di tale sforzo tra le varie regioni del mondo, è ancora abissale, ma soprattutto ha assunto una tale rilevanza politica che la questione potrà essere risolta solo a livello ministeriale o tramite l'intervento dei capi di stato probabilmente nelle ultime ore del meeting di Copenhagen.
Su una cosa il divario è sempre più netto, almeno in apparenza: il nord del mondo preferisce un accordo finale, una sorta di protocollo di Copenhagen, che includa gli Stati Uniti e che si basi sulla fusione tra le modifiche alla Convenzione e quelle al protocollo di Kyoto, che quindi avrebbe come principale conseguenza la dissoluzione di quest'ultimo. Il sud del mondo è assolutamente contrario a questa proposta e considera il protocollo di Kyoto il fondamentale punto di partenza per una effettiva riduzione delle emissioni dei gas ad effetto serra nel medio e lungo periodo.
Saranno quindi gli ultimi giorni in Danimarca o con maggiore probabilità le ultime ore a dirci se lo sforzo della comunità internazionale, finalizzato alla riduzione delle emissioni dei gas ad effetto serra, sarà più vicino alle istanze dei paesi in via di sviluppo (Pvs) oppure più vicino alle richieste dei paesi industrializzati. In particolare, un confronto tra i Pvs, tra i quali quelli più vulnerabili agli effetti devastanti dei cambiamenti climatici (e delle posizioni scientifiche più recenti che richiedono una riduzione dei gas serra di almeno il 45% entro il 2020 rispetto ai livelli del 1990 al fine di assicurare con certa probabilità un incremento massimo delle temperature globali pari a 1,5°C) e quei paesi industrializzati che fino ad oggi hanno messo sul tavolo obiettivi di riduzione unilaterali che in aggregato ammontano ad una variazione dall’11 al 18% al 2020 rispetto al 1990. La differenza appare evidente.
Quello che si è iniziato a fare a Bangkok, e che le parti continueranno a fare fino a venerdì 9 ottobre per poi proseguire a Barcellona dal 2 al 6 novembre, è cercare di “ripulire” il più possibile i testi negoziali in esame, soprattutto le parti più tecniche e specifiche, in modo da lasciare le questioni più controverse (ma anche meno complicate!) nelle mani dei vari leader mondiali.
Nel processo negoziale in ambito Convenzione (Working Group on Long-term Cooperative Action – AWG LCA) il testo negoziale di 200 pagine presentato dal segretariato in giugno a Bonn e semplificato in agosto, sempre a Bonn, è stato scomposto nei cinque blocchi principali ormai parte integrante del lessico di ogni delegato, ossia visione condivisa, mitigazione, adattamento, finanziamento e trasferimento tecnologico. Il blocco mitigazione è stato a sua volta suddiviso nelle seguenti sezioni: mitigazione nei paesi industrializzati (1b(i)), mitigazione nei paesi in via di sviluppo (1b(ii)), attività di riduzione delle emissioni derivanti dalla deforestazione e dal degradamento forestale (REDD-plus (1b(iii)), approcci settoriali (1b(iv)), strumenti di mercato (1b(v)), azioni di risposta (1b(vi)).
Nel negoziato in ambito Protocollo di Kyoto (Working Group on the Kyoto Protocol – AWG KP) non c'è ancora e non ci sarà un testo negoziale unico sul tavolo delle delegazioni, ma una serie di documenti contenenti molti aspetti differenti, tra cui gli obiettivi di riduzione delle emissioni dei gas serra dei paesi industrializzati in aggregato e, a livello individuale, i meccanismi flessibili, le attività forestali (sinks), i nuovi strumenti di mercato, altre modifiche del protocollo di Kyoto.
Riguardo ai meccanismi flessibili, interessanti alcune proposte della parti, tra cui quella di alcuni paesi in via di sviluppo di inserire un tetto massimo al contributo dei crediti del carbonio per il raggiungimento degli obiettivi di riduzione dei paesi industrializzati, quella relativa allo stabilimento di un numero specifico per il rispetto del principio di sussidiarietà, la semplificazione dei criteri di eliggibilità con l'eliminazione del principio di addizionalità per i progetti CDM con capacità di generazione al di sotto dei 5 MW nei settori delle rinnovabili (solare, eolico, biomasse, idroelettrico) e delle tecnologie fossili (cogenerazione, ciclo combinato, sostituzione combustibili).
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