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Valutazione dello stress e della sofferenza degli animali impiegati durante i palii italiani

Questo articolo, piuttosto lungo, è stato scritto da Enrico Moriconi nel settembre 2004 per cercare di fornire uno strumento il più possibile oggettivo nella valutazione dello stress e della sofferenza degli animali impiegati durante i palii italiani.

Le basi teoriche

Per parlare di sofferenza, dolore e malessere, da un punto di vista oggettivo, si deve fare riferimento alle conoscenze etologiche e fisiologiche, per analizzare come si può capire e definire lo stato doloroso. Sovente i veterinari sono chiamati ad esprimere un giudizio in merito anche se forse la loro preparazione non è specifica sul tema: se si esamina infatti la loro formazione questa sembra piuttosto orientata sull’aspetto tecnico, come è logico attendersi, ma tralascia l’analisi complessiva del sintomo dolore. I testi veterinari universitari relativi, ad esempio di fisiologia, cioè la specialità che studia il funzionamento del corpo animale, oggettivano il più possibile lo studio anatomo-fisiologico e il concetto del dolore. Propongono cioè una descrizione puramente formale della struttura anatomica e del modo di trasmissione delle sensazioni e degli stimoli.

Non viene affrontato il tema della sensazione dolorosa e delle sue conseguenze, anche psichiche, quasi che si trattasse di una comunicazione tra stimolo e risposta fisica che non genera altre ricadute. La descrizione della risposta nervosa ad una causa nociva viene descritta cartesianamente, come se fosse una reazione naturale del corpo che non comporta stati reali ed effettivi di dolore e sofferenza.

A questo approccio si contrappongono studi attuali che affermano il principio che tutti gli esseri, anche quelli inferiori, sono in grado di sentire il dolore. Non solo, ma che si possa dire che ogni animale percepisce una sensazione dolorosa che è per lui è quella massima, anche se il suo sistema nervoso è molto semplice. Cioè se un essere ha una sola fibra nervosa quella fibra sentirà tutto il dolore che può trasmettere e che sarà massimo per quell’organismo.

È una nuova frontiera, si può dire, in quanto finora si sosteneva che i sistemi nervosi più elementari fossero in grado di recepire sensazioni dolorose di minor intensità rispetto ai sistemi nervosi più complessi degli organismi superiori. Una linea di ricerca afferma adesso che non importa il numero dei recettori e che pertanto ogni individuo sente il massimo del dolore che la sua struttura anatomofisiologica può recepire. Inoltre vi è il problema della sofferenza psicologica la cui trattazione si ritrova nei testi di etologia, ma non nei manuali di veterinaria, cioè quel danno che non è dovuto a traumi o insulti fisici. Nella stessa definizione di benessere come “lo stato di completa sanità mentale e fisica che consente all'animale di stare in armonia con il suo ambiente” è contenuta la definizione del contrario. Ovvero che il malessere è la negazione di questo rapporto armonico e che perciò una alterazione dell’ambiente può determinare una stato di sofferenza. Dall’insieme di queste considerazioni si deduce che gli animali soffrono non solo per motivi fisici ma anche psichici e che la valutazione della loro sofferenza va fatta commisurando queste conoscenze con le situazioni in cui si vengono a trovare, o sono costretti, gli animali.

Le situazioni che possono indurre sofferenza

Per i cavalli utilizzati nei palii si devono, innanzi tutto, considerare le condizioni che sono comuni a tutti i cavalli da competizione. Il primo elemento negativo è il fatto che i cavalli sono obbligati a dei comportamenti che non sono così connaturati come potrebbe sembrare a prima vista. Se è vero che i cavalli sono animali corridori non si può sostenere che le competizioni siano naturali.

Infatti in natura la corsa serve essenzialmente per motivi collegati direttamente al proseguimento della loro vita¸ così è usata al fine di sfuggire ai predatori, per cercare pascoli adatti alle esigenze alimentari, o per il gioco, momento fondamentale nella vita di tutti gli esseri viventi. In natura quindi i cavalli corrono, o correvano, ma non certo nella maniera esasperata come nelle competizioni attuali. Un elemento che dimostra come questo modo di correre non sia naturale è l’applicazione del reggi lingua. Nelle competizioni si fa uso di questo strumento che impedisce, durante lo sforzo, posizioni irregolari della lingua che potrebbero determinare difficoltà di respirazione agli animali.

Quando i cavalli corrono in natura non ne hanno sicuramente bisogno perché sanno far uso delle proprie forze senza arrivare a limiti insostenibili. La necessità di questo strumento nelle competizioni imposte dall’uomo dimostra come questo tipo di corsa sia esasperata e ben oltre la abitudini naturali. Che la corsa imposta non sia naturale è anche dimostrato dal fatto che il cavallo dopo millenni di domesticazione non ha ancora cambiato le sue caratteristiche etologiche, cioè la sua natura. Qualsiasi cavallo se non viene cavalcato con regolarità perde l’abitudine e ridiventa “selvatico” come si suole dire, cioè non accetta più facilmente la cavalcatura raion per cui e va quanto meno riabituato ad essere usato. A dimostrazione del fatto che non è affatto naturale per lui il farsi cavalcare.

La privazione della libertà

Ai cavalli da corsa, come agli altri animali da reddito, si nega quello che dev’essere considerato un loro diritto: la libertà. Non è una privazione di poco valore. L’animale ha come concezione della propria vita lo stato di libertà, e basta osservarne il comportamento in uno spazio libero per vedere come questa caratteristica vitale si manifesti ogni qual volta è possibile. Al contrario gli animali associano la figura dell’uomo alla paura a dimostrazione del fatto che non accettano tuttora in maniera naturale la vita che imponiamo loro.

L’allenamento

Per correre in maniera competitiva il cavallo dev’essere allenato, e questo è una causa di stress. I cavalli da competizione sono allenati fin dai primi mesi di vita per acquisire resistenza e velocità, sono imbrigliati per lunghe ore ai girelli meccanici che li obbligano ad un percorso fisso per acquisire forza e resistenza. Si tratta di una forzatura delle caratteristiche dell’animale che certamente ne soffre in quanto non può manifestare le proprie condizioni naturali di vita.

In natura il cavallo non trascorre lunghe ore a correre, piuttosto si dilunga nel pascolare e a riposare, come dimostrano le osservazioni etologiche; invece la distribuzione del tempo vitale voluto dall’uomo e l’imposizione della fatica dell’allenamento non rispettano i ritmi naturali. Si può fare un paragone con la condizione umana. Gli sportivi si dedicano a lunghe sedute di allenamento, noiose e dure, che richiedono molta forza di volontà. Gli sportivi però lo fanno con la finalità di ottenere qualcosa, sanno che i sacrifici serviranno se saranno bravi, e anche un poco fortunati, a raggiungere un obiettivo per loro gratificante.

I cavalli, e qualsiasi altro animale sottoposto ad allenamento, non sanno il motivo degli esercizi, non capiscono la situazione che per loro è innaturale: la conseguenza sarà una incomprensione della situazione; queste sensazioni sono generatrici di stress e quindi di malessere. Né si può dire che si danno delle gratificazioni. I cosiddetti premi, qualche maggiore attenzione alimentare o qualche carezza, sono cure che dovrebbero rientrare in un normale modo di rapportarsi.

Trattamenti farmacologici

Vi è poi il problema spinoso dei trattamenti farmacologici. La nuova legge 1894 così si esprime all’articolo 544-ter. - (Maltrattamento di animali). “La stessa pena si applica a chiunque somministra agli animali sostanze stupefacenti cioè reclusione da tre mesi a un anno o con la multa da 3.000 a 15.000 euro”. Si potrebbe obiettare che la legge citata prevede una sorta di deroga per le manifestazioni storiche pertanto il richiamo che si vuole fare è solo per una riflessione relativa alle conseguenze fisiche indotte nell’animale.

Non entrando nel merito sull’applicabilità o meno di questo articolo nel caso del palio, è in ogni caso inevitabile ammettere che questa nuova formulazione afferma che la somministrazione di sostanze che alterano il normale funzionamento del corpo animale induce una variazione dell’equilibrio fisico e psichico degli animali che può essere definito come maltrattamento. Da un punto di vista scientifico questa affermazione è totalmente giustificabile in quanto l’alterazione della fisiologia viene percepita dagli animali, e quindi anche dal cavallo, come un cambiamento della propria funzionalità che però è incomprensibile perché non fa parte delle sue sensazioni fisiologiche normali.

Inoltre la maggiore forza e potenza lo inducono a comportamenti eccessivi che sono di danno al corpo. Nel senso che la velocità viene incrementata oltre le proprie capacità di controllo e questo acuisce le possibilità di avere incidenti. Come regolarmente avviene, ed è avvenuto, in molti palii. Si dirà che nello sport umano il doping è una piaga quasi inevitabile, ma è diversa la situazione pscicologica e fisica di chi vi si sottopone.

Nel caso umano vi è la consapevolezza, o almeno l’interesse economico, motivazionale, quello dell’essere il migliore, che spinge ad accettare, o ad essere consenziente; nel caso degli animali tutte le motivazioni sono degli umani e i cavalli non possono essere consenzienti né possono averne un vantaggio, in quanto sono costretti semplicemente a subire. Il doping richiama il tema del controllo.

Nel palio, sulla base del regolamento vigente, il controllore è quasi identificabile con il controllato. Condivisione della manifestazione e voglia di non mettere in luce alcuna negatività. Le regole sono stabilite dagli stessi concorrenti e i controlli non sono fatti da persone terze ma da personale che è più o meno direttamente coinvolto nel palio. A differenza delle competizioni in pista, il palio coinvolge personalmente i cittadini, permea l’ambiente ed è difficile sostenere che gli abitanti locali siano estranei alla vicenda. Pertanto anche i controlli si inseriscono in un ambiente preciso che di fatto tollera la pratica, non vi è la condanna sociale ma piuttosto uno stato di tolleranza. Inoltre non hanno una portata pratica in quanto i risultati sono noti settimane o mesi dopo l’effettuazione del palio e quindi ai fini della tutela degli animali non servono a nulla.

Punti critici

Vi è poi una parte di situazioni tipiche del palio che inducono situazioni di vero dolore agli animali. Come dicono gli stessi protagonisti nel palio non valgono le regole che normano le competizioni in pista, nel palio è usuale, ed è accettato, che i fantini frustino sul muso i concorrenti, che i cavalli stessi si scalcino tra di loro. Non si può certo sostenere che queste pratiche non siano dolorose per i cavalli ! La superficie non è certo quella degli ippodromi. Anche se il selciato viene ricoperto da uno strato di sabbia, questa trasmette comunque le irregolarità sottostanti e rende instabile l’andatura dei cavalli che non sono abituati al tipo di terreno. Questa è una delle aggravanti che facilitano le cadute gli scivoloni, gli sbandamenti, i quali possono a loro volta generare cadute di altri animali con le gravi conseguenze che ne derivano. Il rumore, le urla configurano una situazione stressante per gli animali in quanto non essendo uno stato normale per loro inducono una situazione di stress di tipo ambientale.

Indicatori di malessere e valutazione

Il malessere è un dato oggettivo e può essere oggetto di valutazione in diversi modi. La prima possibilità di valutazione viene offerta dalle osservazioni etologiche. L’etologia, attraverso lo studio della vita degli animali e del loro comportamento, realizza quello che si definisce come etogramma, ovvero il modello del comportamento naturale di ogni singola specie e quindi di ogni singolo individuo. Ogni variazione rispetto all’etogramma indica uno stato di sofferenza più o meno grave. In questo modo, sulla base delle alterazioni rilevabili, si può formulare un giudizio sul grado di sofferenza che prova l’animale esaminato. Non sempre però questo metodo può essere utilizzato, come appunto nelle competizioni. In questi casi si può rilevare l’eventuale presenza di stress. Selye, coniatore di tale termine, lo intende come risposta specifica dell'organismo necessaria al medesimo per adattarsi ad una molteplicità di stimoli, esterni e non, a salvaguardia della sopravvivenza e dell'integrità fisica dell'animale. Lo stress indica pertanto uno stato non gradito all’animale che richiede la messa in atto di sistemi di adattamento. Nel caso del palio lo stress manifestato ai cavalli prima della corsa è innegabile e diventa un chiaro indicatore di uno stato di malessere.

Vi è però un altro indicatore scientificamente accettato che serve a dimostrare la condizione di malessere degli animali, le cinque libertà. Queste, che sono entrate nella costituzione britannica, stabiliscono i criteri minimi da rispettare nel mantenimento degli animali. Non fanno legislazione nel nostro paese, ma anch’essi sono un supporto scientifico di cui tener conto nella valutazione. Le cinque libertà sono state così definite dal “"Farm Animal Welfare Council” nel corso "Congresso internazionale sul benessere dell'animale industriale" tenutosi in Gran Bretagna nel 1992: libertà dalla fame e dalla sete - con un facile accesso all'acqua e una dieta che mantenga piena salute e vigore; libertà dal disagio - con un ambiente appropriato che includa un riparo e una confortevole area di riposo; libertà dal dolore, dalle ferite e dalle malattie attraverso la prevenzione e rapide diagnosi e trattamenti; libertà di esprimere un comportamento normale mettendo a disposizione spazio sufficiente, attrezzature appropriate e la compagnia di animali della stessa specie; libertà dalla paura e dall'angoscia - assicurando condizioni e trattamenti che evitino la sofferenza mentale Dall’analisi delle cinque libertà si può constatare facilmente come alcune di esse non possano assolutamente essere rispettate nel corso del palio. Non vi è libertà dal disagio in quanto nonostante l’allenamento il cavallo prova disagio per le condizioni della pista; non vi è libertà dalla paura e dall’angoscia perché la situazione innaturale provoca sicuramente queste sensazioni; non vi è la possibilità di esprimere un comportamento normale perchè come si è detto in precedenza questo genere di corse non rappresentano certo un esercizio normale per i cavalli.

In conclusione

Complessivamente non si può non formulare il giudizio che le corse dei palii, anche qualora non si registrino degli incidenti pregiudizievoli della salute dei cavalli, rappresentano un momento di stress e di dolore per gli animali che dovrebbe essere evitato. Se la soluzione migliore rimane quella di evitare del tutto questo tipo di competizioni, i primi accorgimenti da adottare, per renderle meno negative, sarebbero il superamento dei punti di maggiore criticità, quali utilizzare cavalli con tipologie fisiche meno esasperate, preferendo razze meno veloci; scegliere percorsi rettilinei o privi di curve strette, adottare superfici più adatte di quelle attualmente in uso.

Enrico Moriconi

Fonte: Associazione Veterinari per i Diritti degli Animali

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L’Inchiesta/1. Fanatismo e doping. L'Italia dei palii

Il palio affonda le sue radici nel medioevo, proclamano con orgoglio, gli opuscoli patinati che propagandano tali manifestazioni. Nel medioevo affondano le radici anche la cintura di castità, le faida e i feudi, tutti vanti di questo brillante periodo, che andrebbero rivalutati e magari associati a qualche evento storico o religioso per organizzare una sagra con l’immancabile sfida tra contrade, quartieri, cortili, maisonettes e monolocali: il tiro del collo d’oca lombardella, la caccia al maiale bigiunto (con macellazione tradizionale didattica ad uso delle scuole elementari), il salto delle rane private delle zampe e l’evergreen corsa dei muli su crepaccio cosparso di lardo.

Ma quanti sono i palii in Italia? Come sono regolati? Perché tanti cavalli si spezzano le zampe finendo abbattuti sul posto? Quanti interessi girano attorno a queste gare agonistiche camuffate da rievocazioni storiche o religiose? Seguiteci.

Da Udine ad Agrigento, da Belluno a Viterbo, da Milano a Siracusa, da Asti a Sassari, da Ferrara a Roma, da Reggio Emilia a Foggia, l’elenco delle province che organizzano palii con annessa corsa ippica è lunghissimo. Se variegata è la geografia del palio, ci sono alcune particolarità che lo rendono simile dappertutto. Il fanatismo, le regole non regole, le false evocazioni storico culturali, l’idoneità dei cavalli, gli incidenti, gli interessi economici e, di conseguenza, il fango dell’illegalità che vi ruota attorno.

Il fanatismo è la principale spezia della ricetta paliesca, quella che ne caratterizza il sapore forte. Alimentato spesso dalle amministrazioni locali, per meri interessi di bottega, è il principale imputato degli incidenti a cavalli, fantini e spettatori. Ne faremo un’ampia panoramica. E’ scontato che non esiste competizione sportiva, ippica o non, dove manchi l’agonismo e questo può avere come conseguenza qualche incidente. Anche nelle gare ippiche tradizionali, come in quelle olimpiche, le cui immagini entrano nelle case di tutto il mondo, capitano incidenti e talvolta gravi, ma il paragone con i palii non regge.

I feriti gravi e i morti, in queste sagre paesane, sono in proporzione infinitamente superiori a quelli delle competizioni classiche, perché vigono regole che non sono regole. I regolamenti sono pure pagliacciate e sarebbero ridicoli se poi non accadessero spettacoli drammatici che fanno inorridire e sollevare intere cittadinanze, come è avvenuto recentemente, Ferrara dove hanno fatto correre purosangue da ippodromo abituati a rettilinei e curve ampie. Una curva stretta e la falange non resiste alla torsione. Straziante la vista del cavallo che tentava di camminare sui nodelli.

I regolamenti sono “studiati” non da tecnici, ma da amministratori o semplicemente da organizzatori che magari hanno, nel proprio curriculum, l’essere stati presidenti del cral locale se non sopggiorni nelle patrie galere. Ma i primi a fregarsene del benessere degli animali e a evitare accuratamente di toccare i palii, sono i governi (tutti) e gli amministratori. Nell’accordo tra il Ministero della Salute e le Regioni, che va in vigore nel 2003, si legge che la pista, dove si svolgono gare di equidi o altri ungulati nel corso di manifestazioni popolari, deve essere ricoperta da materiale idoneo ad attutire i colpi degli zoccoli degli animali sul terreno asfaltato o cementato. Chi ha osservato le immagini dell’ultimo palio a Floridia (Siracusa) ha visto il patetico velo di bitume posto sull’asfalto di una strada. Si legge ancora che “il percorso della gara sia circoscritto con adeguate sponde capaci di ridurre il danno agli animali, in caso di caduta, nonché per garantire la sicurezza e l’incolumità delle persone che assistono alle manifestazioni”.

Le adeguate sponde talvolta sono dei tondini di ferro o addirittura dei pallet.

La legge 189 del 2004 stabilisce poi le sanzioni per i delitti contro i sentimenti degli animali, ovvero il famoso maltrattamento. Guarda caso i palii autorizzati dalle regioni sono esclusi. Ma guarda toh!

Il doping.

Molti dei cavalli che corrono i palii sono abbondantemente “bombati”. Basta guardare il nervosismo e l’incontrollabile agitazione prima della partenza per capire che i peggiori intrugli sono stati loro sapientemente somministrati. I controlli sono di facciata. Le provette finiscono in laboratori interni e non, come sarebbe giusto, a controllori neutrali che nulla hanno a che fare con la manifestazione. I risultati non si conoscono mai. Sarebbe sufficiente che prelievi e analisi fossero obbligatoriamente eseguite, a fine corsa, a tutti i cavalli da parte di un veterinario designato dall’Unire (come già fanno a Legnano) o da un laboratorio non manovrabile. Questo unico provvedimento eviterebbe già un buon numero di gravi incidenti.

Una regolamentazione più severa e il rispetto ferreo delle regole porterebbero, da sole, a un calo drammatico dei feriti e dei morti. Nella formula uno o nel motociclismo veloce, fino a qualche anno addietro, moriva un pilota al mese. Oggi, grazie a una regolamentazione molto più severa e a norme di protezione più adeguate, gli incidenti gravi sono quasi azzerati. E non si corre meno veloci di prima.

Un esempio di regolamentazione al contrario è quella del palio di Asti, dove gli organizzatori fanno correre i cavalli in una piazza troppo stretta e angolata. Prima si correva su una piazza più ampia. Purtroppo è un po’ decentrata e si è preferito scimmiottare Siena optando per la maggiore comodità dei turisti. Il risultato sono quattro cavalli ammazzati nel 2002 e due nel 2003 dei quali uno morto in pista con la colonna cervicale spaccata. L’idoneità dei cavalli e delle piste. Vexata quaestio.

I veterinari, nominati dagli organizzatori quasi sempre sono in realtà esautorati dalle loro competenze, ma talvolta, va detto, fanno il gioco degli organizzatori. Un po’ di compiacenza e tutto è idoneo: cavalli, pista, protezioni I veterinari sono comunque i veri e unici tutori del benessere animale e a loro deve competere l’intero giudizio sull’idoneità della corsa, utilizzando consulenti tecnici, se necessario, per la valutazione del fondo e delle protezioni.

Sempre in tema di sanità, i soccorsi per eventuali incidenti vanno organizzati, non con un semplice camice bianco che guarda annoiato la gara, ma con la presenza di veterinari specializzati, mezzi attrezzati e cliniche facilmente e rapidamente raggiungibili. E’ vergognoso vedere, come è capitato, uomini incapaci tentare, con mezzi inadatti, di sollevare un cavallo con gli arti spezzati sul pianale di un camion, tirandolo per la coda. (1- continua)

OSCAR GRAZIOLI (dal quotidiano Libero del 13 Giugno 2006)

Fonte: anmvi Oggi, Quotidiano dell’Associazione Nazionale Medici Veterinari Italiani, www.anmvi.it.

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L'Inchiesta/2. Ghibli, Secret e Barone. Tutti i martiri del palio.

La macelleria pubblica dei palii ha aperto molto tempo fa. Ci accontenteremo di una rassegna di quanto accaduto negli ultimi anni. Si comincia con il 2000.

A Bomarzo (Viterbo) durante il palio di S. Anselmo, un cavallo sfonda una staccionata e ne rimane trafitto. “ Terribile il quadro che si è presentato agli spettatori “ scrive il Corriere di Viterbo.

A Tolfa (Roma), il 3 settembre si corre sul corso principale in onore di S.Egidio. Durante una batteria Ghibli, giovane purosangue, travolge le transenne. Franco Parigiani di 85 anni e Marco Vittori di 33 sono investiti in pieno. Questa volta non muore il cavallo ma l’anziano Parigiani, mentre il giovane Vittori finisce in rianimazione.Nell’anno 2001 la macelleria fornisce molta trippa.

A Menfi (Agrigento) si svolge la festa di S. Giuseppe. Durante le batterie un cavallo scivola e termina la corsa sul selciato, spezzandosi la colonna vertebrale. L’incidente avviene in rettilineo.

La pista, per gli organizzatori, era perfetta.A Solarino, (Siracusa), il cavallo Blu-Gold si schianta sulle transenne. Abbattuto dopo lunghi ritardi.

A Ronciglione (Viterbo) i palii della Manna e del solito santo (Bartolomeo) hanno una particolarità: sono corse a vuoto, ovvero mancano i fantini. Nell’agosto il purosangue Taricone è talmente agitato che viene bendato prima della partenza. Appena sgroppa va a sbattere contro la spalla della porta cittadina e stramazza al suolo morto.

Avola (Siracusa), 18 luglio. Si corre il palio di S. Venera, patrona cittadina( stavolta è una donna, ma sempre santa). Lungo il viale Lido, sull’asfalto in salita, un cavaddaro allena il suo purosangue sulla pista. Lui recalcitra s’imbizzarrisce e galoppa sfrenato verso la litoranea. Prende in pieno una Renault Clio distruggendola e poi si schianta contro una transenna. L’asfalto pieno di sangue viene pulito in fretta. Il cavallo viene punito. Ha sgarrato. Provvede la pistola.Ad Asti vogliono contendere la fama alla madre di tutti i palii: Siena. Sponsor il consorzio Asti spumante. Nel settembre, Fiamma scivola con lo zoccolo su un tombino che affiora da chissà dove e si frattura l’anteriore. In chiusura di cronaca TV il capitano dichiara “ non ci sono stati incidenti di rilievo”, mentre dietro le quinte Fiamma viene caricata sul furgone della morte. Il graduato forse aveva bevuto troppo spumante.

Monteroni d’Arbia (Siena) è una succursale di Siena. Si corre in notturna e il mossiere è niente meno che Andrea de Gortes, detto Aceto, il più famoso fantino del Palio dei Palii. Tre puledri scivolano, rovinando a terra. Due si rialzano e invertono la rotta mettendosi al galoppo. Fantini e cavalli cercano di evitarli. Non vi riescono Becks, condotto da Giuseppe Ortu e Bristolde, condotta da Salvatore Bianco. I cavalli, a tutta velocità, sbattono le teste gli uni contro gli altri. I fantini finiscono fratturati all’ospedale, i cavalli muoiono sulla pista. Il sangue sprizza dappertutto.

Viene in mente Dante: “Lo strazio e 'l grande scempio che fece l'Arbia colorata in rosso”. Anche allora ai senesi ghibellini piaceva il rosso rubino. Del vino e del sangue.Il 2002 verrà ricordato per un palio che ha battuto tutti i record. Non ho controllato, ma forse è sul Guinness dei primati.

Ad Asti l’invidia per Siena rode gli organizzatori. Nel settembre quattro cavalli si azzoppano e vengono abbattuti. Fatalità ovviamente. Un corno! La piazzetta è un fazzoletto fatto a triangolo isoscele con curve strette e lieve pendenza. Il fondo riportato è pieno di pietreOristano, 6 luglio. Si corre l’Ardia di Sedilo nel santuario (poteva mancare?) di San Costantino. La corsa sfrenata prevede di passare sotto un arco. Non ci passa salvatore Sedda, 37 anni. Passa però a miglior vita, dopo avere sbattuto la testa.

Legnano (Milano). Durante l’aperitivo del palio, la provaccia, muoiono due cavalli. Uno dei due, scosso (senza fantino), cade e si rialza correndo in senso inverso. Dopo lo scontro frontale viene abbattuto sulla pista. Gli organizzatori sostengono che la corsa ippica è battaglia. Ergo è normale che qualcuno ci lasci le penne. Peccato che non gli sia concesso di scegliere se combattere o meno.

Andiamo ad Acate (Ragusa), in aprile. Alla partenza del palio di S. Vincenzo, si aprono le gabbie dell’ottava corsa. Cips Trin percorre i primi metri e stramazza al suolo travolgendo il fantino Maria Pulvirenti. La fantina finisce in ospedale e il cavallo immobile sul selciato.

Floridia (Siracusa). Il vigile urbano Franco Gigliuto, travolto da un cavallo, finisce in ospedale con prognosi riservata. Il cavallo finisce morto.

Fermo (Ancona). E’ agosto. Boldrus cede sul traguardo, barcolla e va a sbattere, prima contro le transenne, poi contro una vetrina. Si dice sia morto d’infarto. Mah!Chiedo umilmente venia ai lettori se sintetizzo gli altri anni, ma vorrei tirare qualche conclusione senza impegnare tutte le pagine del giornale.

Ad Asti (il palio invidioso) nel 2003 Secret si rompe l’osso del collo. L’anno dopo altro cavallo abbattuto.

A Paliano ( Frosinone), il 7 settembre 2003 Barone si azzoppa e viene abbattuto, Polvere muore sbattendo la testa contro una putrella, un altro cavallo viene trovato in paese, di notte.Nel 2004 qualche prefetto comincia a vietare gare palesemente illegali. Nel 2005, dopo che la fantina Maria Pulvirenti (lei c’è sempre) è stata presa a colpi di catena, il prefetto di Siracusa vieta il palio di Avola. Intanto nel settembre dello stesso anno al Palio dei normanni di Piazza Armerina muoiono tre cavalli. Uno se lo sono mangiati in trattoria, presente l’assessore come commensale.Sapete dove vanno a finire i cavalli abbattuti? No? Neanche noi. Un altro mistero dei palii. Chiederemo ad Augias.Non ho scritto della madre di tutti i palii. Troppo facile. Come sparare sulla croce rossa. Solo negli ultimi trebta fìgiorni ne hanno ammazzati altri quattro ( Fucecchio, Ferarra e Floridia).

L’abolizione dei palii? Pura utopia. Ci accontentiamo. In F1 se il percorso è giudicato troppo rischioso, un comitato di piloti decide di non correre. Qui non possono decidere i cavalli. Veterinari specializzati, consulenti seri e prefetti di ferro decidano per loro. I controlli antidoping si fanno a fine corsa a tutti i cavalli e il veterinario che fa prelievi e analisi è designato dall’Unire. I soccorsi vanno affidati a veterinari competenti, dotati di mezzi idonei e cliniche raggiungibili in poco tempo. Referti, analisi, destino degli animali e quant’altro sono dati pubblici e non celati negli ossari degli organizzatori.

Ringrazio Mauro Bottigelli, responsabile della LIDA. Senza di lui questa inchiesta non sarebbe mai uscita.

OSCAR GRAZIOLI

dal quotidiano Libero del 14 Giugno 2006

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Interrompere la corsa per salvare un cavallo? Non ne vale la pena...

Durante la seconda tornata del palio di Siena del 2004 si è assistito ad una scena di grande impatto emotivo e molto diseducativa: un cavallo si è schiantato contro un ostacolo fisso ed è crollato a terra rimanendo esangue sulla pista e finendo calpestato al giro successivo, poiché non è stata interrotta la corsa...

Se anche non fosse morto per il colpo sarebbe stato per lui impossibile sopravvivere al calpestio degli altri cavalli.

[...]durante l'ultimo Palio di Siena del 16 agosto scorso, uno dei cavalli è morto atrocemente e altri 4 sono rimasti feriti. Il cavallo "Amoroso", un baio di 8 anni, ha violentemente sbattuto la testa contro uno dei pali di ferro posti lateralmente al percorso di gara, rompendosi il collo e finendo a terra. L'immagine è stata terrificante: nessuno ha fermato la gara e gli altri cavalli gli sono finiti addosso, calpestandolo. Il cavallo sgambava ed esalando forse l'ultimo respiro. Nessuno dei telecronisti ha parlato della morte del cavallo. La festa medievale (appunto!) del paese è andata avanti come se niente fosse accaduto.[...]
[...]Il Sindaco di Siena ha dichiarato "La morte del cavallo è stato frutto di una miscela casuale tra errori umani e comportamenti dell'animale... Siamo insieme ed uniti, pronti a difendere la festa da tutti gli attacchi. Siamo convinti di aver fatto sempre tutto quanto è nelle nostre possibilità per prevenire gli incidenti e garantire la sicurezza".[...]
(Fonte: www.unaecoanimali.it)


Il cavallo Amoroso esanime a terra (fonte: www.corriere.it)

L’ultima modifica dell’articolo 727, in qualche modo richiama l’importanza del “sentimento” verso gli animali e tuttavia, neppure quindici giorni dopo la sua emanazione, moltissimi italiani hanno assistito in diretta televisiva ad uno spettacolo nel quale questo sentimento veniva duramente offeso e in maniera del tutto gratuita. A dispetto delle migliori intenzioni del legislatore, il messaggio che arriva ai cittadini è ancora sempre lo stesso: gli animali sono oggetti per salvaguardare i quali non vale la pena neppure interrompere una gara!

La tutela del loro benessere e del sentimento di compassione verso di essi rimangono semplici dichiarazioni d’intenti, parole vuote di significato, anche grazie ad un emendamento dell’ultimo minuto che salva il Palio e tutte le manifestazioni con animali che abbiano “valore storico”!.

L’AVDA, condanna il comportamento tenuto dagli organizzatori, che non hanno fermato la corsa, e dagli organi di informazione televisiva che hanno minimizzato la vicenda e non hanno dato il giusto rilievo ad un evento che significa dolore e sofferenza per gli animali ma anche uno spettacolo diseducativo perché la violenza è sempre da condannare anche (e forse soprattutto) quando coinvolge un essere vivente che non può sottrarsi allo strazio né esprimere a parole il suo dolore.

L'AVDA sottolinea con forza che non si può giustificare per motivi di storia o di tradizione nessuna usanza che finisca col procurare dolore ad altri esseri senzienti. Il filo rosso che lega la “storica” tradizione del Palio è fatto di sangue: quasi 50 cavali morti in cinquant’anni.

Mentre in ogni campo si inneggia alla modernità, al superamento delle tradizioni, all’emancipazione offerta da una cultura laica e libera da lacci e laccioli, retaggio di antiche credenze, le uniche situazioni nelle quali permane il richiamo al passato come valore da salvaguardare ad ogni costo, anche al prezzo di introdurre contraddizioni in un testo di legge, sono quelle nelle quali sono coinvolti gli animali.

L’AVDA si impegnerà per approfondire il tema della sofferenza degli animali e del loro diritto a vedere rispettato il loro benessere in ogni circostanza e occasione.

Fonte: Associazione Veterinari per i Diritti degli Animali, www.avda.it

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